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09 Novembre 2023 - 08:26
NAPOLI. Lezioni sospese da quattro giorni all’Orientale di Napoli. Nella sede di Palazzo Giusso gli studenti continuano a mobilitarsi in difesa della causa palestinese. «“Occupazione dell’Università” scrivono i media. Non l’abbiamo occupata, l’abbiamo liberata dalla complicità al colonialismo delle nostre istituzioni» controbatte l’Associazione Culturale Handala Ali. Un’assunzione di responsabilità politica per una parte dei manifestanti. E ieri è stato occupato anche il liceo classico Gian Battista Vico. Un gruppo di studenti del “Collettivo Vico” e attivisti del “Coordinamento Kaos” hanno occupato l'edificio di via Salvator Rosa «per mandare un messaggio di solidarietà al popolo palestinese». È la seconda occupazione pro Palestina che si verifica a Napoli dopo quella di Palazzo Giusso. Sulla facciata del grande edificio di via Salvator Rosa è stata esposta una bandiera della Palestina. E proprio a Palazzo Giusso il dibattito, ieri, è servito per fare il punto della situazione: «C’è modo e modo per manifestare. L’Università è il luogo sbagliato» sostiene Chiara Schettino. «Va bene se vogliono protestare ma che vengano rispettati gli spazi. Perché non farlo solo in aula?» dice Ilaria Votino. «Questo non è il modo giusto. Ti appropri di uno spazio che non è il tuo e mi neghi la possibilità di studiare» ribadisce Domenico Serra. «Tu potrai non avere il diritto di studiare ma la gente non ha il diritto di mangiare. Occupare è una scelta di umanità, un obbligo per noi studenti» risponde Marco di archeologia. «Occupare è l’unica possibilità. La Palestina è un territorio preso con la forza e noi dobbiamo reagire di conseguenza» dice Rossella di mediazione linguistica. Opinione condivisa anche da Lina di lingue. «Servono maniere forti per far arrivare il messaggio e l’occupazione è un chiaro segnale di dissenso». In merito, Davide di beni culturali propone di estenderla a tutte le università della Campania. Mentre per Luca Ricciardi aver occupato proprio l’Orientale è emblematico. «È un’istituzione importante che puó diventare un mezzo di comunicazione molto efficace» sostiene la sua collega Rita Recine. Non è dello stesso parere chi ha poca fiducia nel ruolo sociale delle Università. «È la politica che dovrebbe mobilitarsi. Il popolo non conta niente, non si ferma un conflitto con un’università occupata» risponde Maddy Avella di Lettere. Per Vittorio si deve «ridimensionare la funzione politica dello studente». Al contrario, per Gaia, studentessa di filosofia, non è la politica a dover essere influenzata. Un’apertura al dialogo che, durante gli incontri in sede occupata, Alessandro non vede. «La tematica è diventata troppo importante per essere ignorata» spiega Giuseppe Bianco. Lo scopo dell’azione non è connesso alla speranza di bloccare uno sterminio di massa, come molti pensano. Offrire una contronarrativa dove le Istituzioni non lo fanno è una delle ragioni di chi sabato 6 novembre ha innalzato la bandiera della Palestina su Palazzo Giusso. «Il sapere deve essere al servizio della collettività e non deve diventare un’arma da usare contro gli oppressi» denuncia l’Ex Opg in merito alla dialettica capovolta dell’Occidente.
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