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Gambizzato per un “sospetto”, svolta sull’agguato a Mangiapia

Gambizzato per un “sospetto”, svolta sull’agguato a Mangiapia

NAPOLI. Le indagini sull’agguato che la notte del 2 novembre scorso è quasi costato la vita al giovane pianurese Luca Mangiapia arrivano subito a una svolta. Raffaele Petrone, 36enne di Soccavo già noto alle forze dell’ordine, si è presentato in questura ammettendo il proprio coinvolgimento nel gravissimo fatto di sangue. A rendere particolarmente inquietante l’accaduto ci sono almeno due elementi: il pistolero e la vittima non soltanto si conoscono, ma sono addirittura parenti: precisamente cugini. E ancora: a innescare il raid sarebbe stato un balordo sospetto. Raffaele Petrone era infatti giunto alla conclusione che Luca Mangiapia fosse responsabile del furto in casa subito qualche giorno prima dal fratello Giuseppe. O quantomeno questa era la conclusione alla quale era arrivato dopo aver visionato le immagini registrate dalle telecamere installate all’interno dell’abitazione. Il 36enne di via Epomeo, dopo alcuni giorni trascorsi nell’ombra, ha deciso di costituirsi, raccontando al pubblico ministero Antonella Fratello la propria versione dei fatti e ammettendo di essere molto scosso per l’accaduto. Raggiunto da un decreto di fermo, ieri sera Raffaele Petrone, difeso dagli avvocati Leopoldo Perone e Giuseppe Biondi, ha quindi incassato la decisione del gip Giordano, che ha derubricato l’iniziale accusa di tentato omicidio in quella, ben più lieve, di lesioni. Il giudice ha inoltre deciso di non convalidare la misura precautelare, disponendo per il 36enne gli arresti domiciliari nella propria abitazione. Dalla lettura della richiesta di convalida dell’arresto emerge però anche un altro aspetto di estremo interesse investigativo. Per l’agguato a Luca Mangiapia, oltre a Petrone, è indagato anche il 37enne Luigi Nasti, vecchia conoscenza delle forze dell’ordine, in passato accostato agli ambienti del clan Cimmino e in particolare al capozona Andrea Teano, tanto da aver scontato una condanna per associazione mafiosa. Nasti, a differenza di Petrone, ha però fatto perdere le proprie tracce da giorni: sulla sua testa pende l’accusa di aver fatto da autista all’uomo che la notte del 2 novembre scorso ha fatto fuoco contro Mangiapia. Al netto della confessione resa da Petrone, impiegato come barista in un noto locale del Vomero, gli investigatori erano già da alcuni giorni sulle sue tracce. Lui e Nasti sono accusati di aver condotto Mangiapia a bordo di un’auto in una zona isolata di Pianura, già muniti di pistola e lenzuolo. Dopo averlo ripetutamente minacciato, i due avrebbero quindi esploso tre colpi, uno dei quali andato a segno centrando la vittima alla coscia sinistra. Le condizioni di Mangiapia sono subito apparse gravissime, tanto che il 25enne pianurese, ancora adesso ricoverato in condizioni critiche al Cardarelli, ha dovuto subire l’amputazione del piede a causa della copiosa perdita di sangue. Il raid sarebbe maturato come vendetta, in quando Raffaele Petrone sospettava che il cugino si fosse reso protagonista di un furto avvenuto in casa del fratello Giuseppe. Poi il pentimento, ormai tardivo.

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