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Ammazzato per un sospetto, ergastolo cancellato al boss

Ammazzato per un sospetto, ergastolo cancellato al boss

Delitto Passaro, “Peppe ’o barone” incassa 20 anni di carcere in appello. Polverino, accusato di essere il mandante, confessa e ottiene le “generiche

NAPOLI. Innocente ammazzato per una sospetta relazione proibita con la moglie di un affiliato al clan, il processo di secondo grado che ha visto alla sbarra il boss maranese Giuseppe Polverino “’o barone” termina con un inatteso colpo di scena: ergastolo cancellato e pena rideterminata in 20 anni di reclusione. La “sforbiciata” decisa dai giudici della Corte d’assise d’appello di Napoli è maturata in seguito al riconoscimento, in favore del ras, delle circostanze attenuanti generiche. Per lo stesso delitto, cioè l’omicidio di Santino Passaro, Raffaele D’Alterio e Salvatore Simioli avevano incassato in precedenza la stessa condanna, ma passando per il rito abbreviato. Peppe “’O barone”, difeso di fiducia dagli avvocati Domenico Dello Iacono e Raffaele Esposito, aveva invece inizialmente optato per il dibattimento, salvo virare poi anch’egli, qualche mese più tardi, sul “processo sprint”. Già in primo grado Polverino aveva ammesso le proprie responsabilità, ma, nonostante la richiesta del pm, non aveva indicato gli esecutori materiali del delitto, sostenendo che all’epoca fosse già latitante in Spagna. Quest’ultima circostanza ha trovato riscontro solo durante il processo di appello, quindi a ergastolo già incassato, con le dichiarazioni del super pentito Giuseppe Simioli, il quale ha confermato quanto detto in precedenza da “’o barone”. Era il 21 giugno del 2008 e per Santino Passaro, 30enne muratore risultato completamente estraneo ai contesti camorristici e criminali, non ci fu nulla da fare. Il sicario Raffaele D’Alterio scese dalla vettura guidata da Salvatore Simioli e fece fuoco da distanza ravvicinata. Secondo la Procura a dare l’ordine di morte sarebbe stato proprio il boss Giuseppe Polverino “’o barone”. Il movente dell’omicidio, nella ricostruzione degli inquirenti, starebbe nella convinzione all’interno del clan Polverino che Santino Passaro coltivasse una relazione sentimentale con la donna di un altro affiliato all’organizzazione. Circostanza mai provata e secondo alcuni investigatori frutto di un maledetto equivoco. Ma la camorra non ha bisogno di prove e scattò l’agguato per vendicare l’onore del “picciotto”. Secondo l’accusa “Peppe” Polverino diede l’ordine; Raffaele D’Alterio sparò e uccise il muratore; Salvatore Simioli funse invece da autista. Nell’inchiesta si erano rivelate importanti le dichiarazioni di due collaboratori di giustizia: Biagio Di Lanno e Domenico Verde. Quel giorno Passaro, due fratelli uccisi in agguati, sposato e padre di un bimbo di 6 anni, scese da casa per andare al lavoro. Faceva il muratore in un cantiere edile. Com’era sua abitudine, lasciata la casa di via Parrocchia, nei pressi della chiesa di San Castrese, con la “Y10” intestata alla moglie si diresse verso piazza Trieste e Trento, percorrendo via 24 maggio. Lì aveva appuntamento con un collega di lavoro che, come ogni mattina, era fermo ad attenderlo all’angolo. Passaro arrivò, aprì lo sportello di destra all’amico proprio mentre, alla sua sinistra, si fermò un’autovettura. Ferito da tre colpi di pistola, non ebbe alcuna possibilità di scampo.

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