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21 Dicembre 2023 - 12:06
NAPOLI. Minacce e violenze per costringere le vittime a rientrare dal debito contratto, l’accusa viene derubricata e la riforma Cartabia “salva” il ras di San Giovanni a Teduccio Salvatore D’Amico “’o pirata” (nella foto) e i due coimputati, Vincenzo Acampa e Salvatore Di Luca, da una probabile stangata giudiziaria: la Prima sezione penale del tribunale di Napoli ha infatti stabilito di non doversi procedere nei confronti dei tre presunti aguzzini per difetto di querela. Per capire bene cosa è successo è però necessario fare un passo indietro. La sentenza in questione non è infatti frutto di un “inciampo” dei giudici, che hanno anzi applicato alla lettera la legge: comprese le contraddizioni insite nell’attuale ordinamento. D’Amico, Acampa e Di Luca erano finiti alla sbarra con l’accusa di aver minacciato e cacciato dal quartiere Ciro Acampa e Annunziata Buonocore, i quali nel settembre 2016 avrebbero dovuto corrispondere al clan D’Amico-Mazzarella 12mila euro a titolo di ritrattazione di un precedente debito. A gennaio scorso parte dunque il processo di primo grado e nel contempo entra in vigore la tanto discussa riforma della Giustizia salita alla ribalta come legge Cartabia, la quale stabiliva che in caso di violenza privata - l’accusa di minacce aggravate dal metodo mafioso era stata nel frattempo derubricata - fosse necessaria la querela delle persone offese: querela che però non è mai arrivata. I giudici del dibattimento, accogliendo la questione sollevata dal difensore del ras D’Amico, l’esperto penalista Sergio Lino Morra, hanno quindi stabilito di non doversi procedere per difetto di querela. Piccola, ma importate nota a margine: il 16 giugno scorso, quando il processo era ormai iniziato, la riforma Cartabia è stata modificata proprio nel passaggio che ha consentito ai tre imputati di evitare la condanna, per cui adesso è possibile procedere anche senza querela di parte in caso di violenza privata aggravata dal metodo mafioso. Per il “pirata” e i due soci stavolta è andata bene.
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