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18 Gennaio 2024 - 08:00
NAPOLI. Nessun pentimento, sia chiaro. La loro è stata però una presa di posizione netta: davanti alla prospettiva (più che concreta) di trascorrere in galera il resto della propria esistenza, hanno prima deciso di dissociarsi, prendendo dunque le distanze dai trascorsi malavitosi, dopo di che hanno anche ammesso gli addebiti, confessando di essere i responsabili, o meglio gli esecutori materiali, dell’omicidio di Pasquale Palermo, morto ammazzato il 6 febbraio 2009 nell’ambito di un’epurazione interna all’allora potente clan Sarno. Tanto è bastato a Vincenzo Cece e Domenico Amitrano a evitare la pena dell’ergastolo al termine del processo di primo grado celebrato con la formula del rito abbreviato. Il gup, dando ampio accoglimento alle argomentazioni degli avvocati Carlo Ercolino, difensore di Cece, e Antonio Del Vecchio, difensore di Amitrano, ha infatti condannato i due imputati a 18 anni e 6 mesi di reclusione. Un verdetto che non ha per nulla soddisfatto il pubblico ministero, che aveva chiesto il fine pena mai per entrambi gli imputati. Il giudice ha però concesso ai due presunti sicari le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti ed escluso l’aggravante dei futili motivi, chiudendo così la porta a qualsiasi possibilità di condannarli alla pena dell’ergastolo. Sia Cece che Amitrano hanno così evitato una quantomai probabile stangata giudiziaria. La svolta sul caso era arrivata all’inizio dello scorso anno grazie alle dichiarazioni di oltre dieci collaboratori di giustizia, su tutti l’ex boss Vincenzo Sarno, il fratello Giuseppe Sarno e il nipote Salvatore Sarno, che hanno permesso di ricostruire il commando di morte che il 6 febbraio del 2009 ha assassinato in piazza Aprea l’affiliato ribelle: Pasquale Palermo, da tempo insofferente al trattamento economico che il clan Sarno gli riservava, si era infatti avvicinato - secondo gli accusatori - al rivale gruppo De Luca Bossa, all’epoca appena staccatosi dai Sarno. Palermo sarebbe stato addirittura in procinto di costituirsi e pentirsi. Da qui la decisione del clan di farlo fuori e non correre pericoli. La giustizia, lenta ma inesorabile, ha nel frattempo fatto il proprio corso e Domenico Amitrano, alias “Mimì ’a puttana”, e Vincenzo Cece a febbraio scorso sono finiti in manette con l’accusa di essere gli esecutori materiali del delitto. Il mandante sarebbe stato invece l’allora ras Vincenzo Sarno “’o stuort”, mentre alle fasi preparatorie del raid avrebbe partecipato Luigi Casella: entrambi sono però indagati a piede libero. Quanto alla dinamica, “Fischiariello” fu assassinato in pieno giorno e davanti a decine di persone. Da poco scarcerato, quella mattina si trovava in auto con il suo fedelissimo Casimiro Colantuono, che era al volante. Raggiunta piazza Aprea, i killer non gli lasciarono possibilità di scampo. Lo affiancarono in sella a uno scooter, a guidare era Domenico Amitrano, e Vincenzo Cece gli esplose contro sette colpi di pistola: sei diretti al torace, uno invece in pieno volto, lasciandolo esanime in una pozza di sangue.
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