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06 Febbraio 2024 - 08:00
NAPOLI. Un’impronta papillare sul vetro della gioielleria, un’altra sul portagioie da cui avevano preso alcuni preziosi. Così, grazie alla migliore risoluzione delle immagini rispetto all’epoca dei fatti e alla banca dati in possesso della Scientifica, da ieri sono in carcere i presunti assassini di un 46enne sovrintendente di polizia che il 4 dicembre 1986 cercò di fermare i rapinatori e impedire il colpo. Domenico Attianese abitava a poca distanza, a Pianura, e pur libero dal servizio intervenne subito. Ma nella colluttazione avvenuta dentro il negozio gli fu esploso contro un proiettile alla nuca che gli procurò istantaneamente la morte. A sparare, nella ricostruzione della procura su indagini compiute dai poliziotti della sezione “Omicidi della Squadra mobile della questura (dirigente Alfredo Fabbrocini, ora questore, vice questore Luigi Vissicchio), sarebbe stato Giovanni Rendina, da pochi giorni 60enne. Gli investigatori l’hanno arrestato in una comunità di Caserta, mentre Salvatore Allard è stato rintracciato a Verzuolo (in provincia di Cuneo) dove lavora per il Comune presso il cimitero. Originari del rione Sanità con precedenti a carico per reati predatori, entrambi hanno cambiato vita e sono rimasti di sasso trovandosi di fronte al personale della questura in borghese con in mano il provvedimento restrittivo. La soluzione del cold case è essenzialmente il frutto delle investigazioni scientifiche all’avanguardia, ma la tenacia e la bravura degli inquirenti hanno avuto un enorme peso specifico. Sono stati risentiti tutti testimoni dell’epoca, a partire dalla figlia della vittima, e dalla comparazione tra le foto degli indagati nel 1986 e la loro immagine attuale. Coloro che li hanno visti in quel tragico pomeriggio del 4 dicembre 1986 li ricordano nitidamente: Giovanni Rendina bruno, magro; Salvatore Allard, anch’egli con i capelli neri ma più massiccio come corporatura. Con loro c’era un terzo uomo, rimasto sconosciuto: biondo con gli occhi celesti, alto, vestito elegantemente. Oggi Rendina ha 60 anni compiuti da pochi giorni, Allard 58. Devono essere ritenuti innocenti fino all’eventuale condanna definitiva. Mai erano finiti nel mirino degli inquirenti e solo la riapertura dell’inchiesta, esattamente un anno fa, li ha fatti emergere. Per l’omicidio del sovrintendente Attianese furono arrestati e processati due uomini di Pianura tirati in ballo da un collaboratore di giustizia, ma non c’entravano nulla. Nessun riscontro a carico fu trovato e i giudici li assolsero già in primo grado senza che la procura facesse ricorso. A tradire i due indagati sono state le due impronte, lasciate sul vetro della gioielleria Romanelli dal palmo della mano destra di Rendina e sul portagioie da Allard. Il primo per la fretta di fuggire dopo la sparatoria, cercando di aprire la porta blindata bloccata dall’interno; il secondo per razziare quanti più gioielli possibili. Insieme al terzo complice fuggirono dividendosi e portando via il bottino di più di una quarantina di milioni di lire.
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