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09 Febbraio 2024 - 09:32
Gli occupanti dell’ala di un edificio dell’Asl Napoli 1 si incatenano: arriva un nuovo rinvio. Una quarantina le persone che devono lasciare gli alloggi: «Non abbiamo le risorse per andare altrove»
NAPOLI. Si incatenano al cancello d’ingresso per evitare di lasciare gli ambienti dell’ex manicomio all’interno sede del Frullone di cui l’Asl Napoli 1 Centro vuole rientrare in possesso, per trasformarli in ufficio, motivando così la loro scelta: «Se fossimo costretti ad andare via, non avremmo alternative e ci ritroveremmo in strada». Tre delle nove famiglie che ancora vivono dall’inizio degli anni ’80 nello stabile di via Comunale del Principe 13/A, in totale oltre 40 persone molte di queste minori, anziane e con disabilità, ribadiscono con un gesto forte per chiedere all’Azienda sanitaria locale di rinviare nuovamente lo sfratto se prima non sarà trovata una soluzione sostitutiva.
A sostenere la loro battaglia gli attivisti della Campagna per il diritto all’Abitare e il consigliere comunale di Napoli Solidale Europa Verde Rosario Andreozzi, che si sono barricati in casa con gli appartenenti ai nuclei familiari interessati. A presidiare il posto, gli agenti della Digos di Napoli per cercare di mediare tra le parti. Dopo diverse ore e una situazione tesa, arriva la notizia di un rinvio dello sgombero, che resta esecutivo e dovrà essere comunque completato, con gli attivisti e Andreozzi che propongono un tavolo di concertazione tra Regione Campania, Asl Napoli 1 Centro e Comune di Napoli per prospettare una soluzione per queste famiglie.
Sul posto c’era anche l’ufficiale giudiziario che lunedì rimtetterà la questione al magistrato che dovrà decidere la nuova data. Gli abitanti, i comitati civici, i consiglieri comunali e il presidente dell’ottava Municipalità, Nicola Nardella, chiedono un tempo congruo per una soluzione. Già nei mesi scorsi era stato chiesto e ottenuto un rinvio dello sgombero alla direzione dell’Asl Napoli 1 Centro. A sintetizzare la condizione dei nuclei familiari è Alessia Petrecca, una delle abitanti a cui è stato chiesto di andarsene. «Ci sono famiglie che guadagnano poco e sono senza garanzie economiche. Trovare altri alloggi, con i fitti alti, è difficile. La nostra intenzione non è mica quella di continuare per forza a vivere tutta la vita in queste case ammuffite, umide e bisognose dei lavori» spiega.
Su quest’ultimo punto, a testimoniare stato degli alloggi sono alcune foto diffuse dagli stessi manifestanti. E sugli affitti, la famiglia di Alessia come tante altre si sono scontrate con l’elevato costo delle pigioni. «Ci siamo informati dice e per una famiglia con minori la cifra per avere un alloggio non scende sotto i 500 euro. Noi non abbiamo colpa per questa situazione. L’Asl in questi anni ha pagato le utenze non perché noi non volevissmo falo, ma perché non avevamo sufficienti risorse. Purtroppo la nostra esistenza è precaria».
Dal canto loro, li attivisti della Campagna per il diritto all’Abitare, storicamente vicini a chi, con le possibilità economiche limitate, ha bisogno di un alloggio evidenziano che «alcuni di questi nuclei familiari sono anche assegnatari di un alloggio popolare che non hanno mai ricevuto. L’Asl ha proposto appartamenti di proprietà dell'ente ma a canone di mercato a persone senza reddito che per questo vivono da quarant’anni in una struttura degradata e adattata a case. È ennesima vergogna per questa città, una grave responsabilità per gli amministratori dell’Asl, del Comune, della Regione Campania. Facciamo appello a che le Istituzioni non permettano questa nuova macelleria sociale».
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