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13 Febbraio 2024 - 08:30
NAPOLI. L’agguato del 17 gennaio scorso a Nico Moffa, e al fratello Gennaro come si è capito in seguito, è stato probabilmente organizzato in fretta e furia. Non si spiegano diversamente alcune scelte dei presunti autori, Giuseppe Marigliano detto “cavallo pazzo” e Jenssi Ovalle Ortega “o’ nir”: l’orario, le 18 circa quando ancora non era completamente buio, e l’assenza di caschi o passamontagna per coprire il volto. Così le immagini di un impianto di videosorveglianza in uso alla polizia in via Nicola Capasso si son o rivelate importanti per convogliare i sospetti sul 37enne e sul 24enne. Sullo sfondo ci sarebbero contrasti naturati negli ambienti dei traffici di droga. Prima circostanza ricavata dall’analisi delle immagini è la posizione della telecamere, a 200 metri circa da via Toscano (dove sono stati repertati ben 81 bossoli di proiettile) e da via Ciccone (luogo in cui è stato ferito Nicola Giuseppe Moffa, detto “Nico”). Ma non solo: Giuseppe Marigliano e Ovalle Ortega sono stati immortalati mentre erano su uno scooter in successive riprese, una volta l’uno e una volta l’altro. E soprattutto: sia pochi minuti prima che poco dopo la sparatoria che stava per costare la vita a un’anziana passante. In particolare, “Cavallo pazzo” in un frame è apparso riconoscibile mentre gli indizi sul presunto complice sarebbero arrivati soprattutto dall’abbigliamento. Nulla infatti è sfuggito agli attenti investigatori della Squadra Mobile (con l’ex dirigente oggi questore Alfredo Fabbrocini e il vice questore Luigi Vissicchio), autori della brillante indagine. Agli atti dell’inchiesta che vede al momento in custodia cautelare in carcere i due indagati (comunque da ritenere innocenti fino all’eventuale condanna definitiva) ci sono anche le dichiarazioni di altrettanti collaboratori di giustizia: Salvatore Maggio e Carmine Campanile, entrambi vicini ai Mazzarella prima di passare dalla parte dello Stato. Con la premessa che le persone citate devono essere ritenute estranee rispetto ai fatti narrati fino a prova contraria, ecco alcuni passaggi delle loro dichiarazioni. “Ricordo”, ha messo a verbale Salvatore Maggio, “che uomini del clan Sibillo andarono a sparare sotto la casa di “o’ nano Angelo bello”, che di cognome fa Marigliano, in quanto i suoi due figli, Giuseppe detto “cavallo pazzo”, e Ciro detto “Moogli” avevano avuto una discussione con loro. Pertanto organizzammo una risposta armata che fu compiuta nella roccaforte dei Sibillo in pieno giorno, di fronte a Forcella, cui parteciparono... entrambi del nostro gruppo, Carmine Campanile, tale “Kakà” di via Padre Ludovico da Casoria, Giuseppe e Ciro Marigliano e Vincenzo Caldarelli detto “Lulù” del gruppo Caldarelli”. Sull’episodio ha parlato pure Carmine Campanile. “La “stesa” fu decisa durante una riunione a casa di un parente di Salvatore Maggio. Vi parteciparono Ciro Marigliano, Lello Caldarelli e salvatore Maggio. A sparare fui io che stavo su una moto tipo Honda Chiocciola insieme a “Kakà”, che guidava. Usammo 5 scooter”.
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