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14 Febbraio 2024 - 08:49
I tentacoli del clan dei “Capitoni” sulla sanità napoletana, il processo di appello-bis si conclude con un verdetto a dir poco sorprendente. Dopo il precedente annullamento da parte della Cassazione, ieri pomeriggio è arrivato il pronunciamento dei giudici della Terza sezione della Corte d’appello di Napoli, chiamati a un nuovo verdetto, i quali hanno assolto il rampollo Vincenzo Lo Russo “’o signore”, figlio del capoclan Giuseppe Lo Russo, reduce da una condanna a 10 anni di carcere. Accuse ridimensionate anche per gli altri due coimputati eccellenti: Antonio Festa, la cui pena è stata ridotta da 8 anni a 4 anni di reclusione, e Giulio De Angioletti, passato da 7 anni di reclusione a 5 anni e 4 mesi. Tutti e tre gli imputati erano difesi dall’avvocato Domenico Dello Iacono, mentre De Angioletti era difeso anche dall’avvocato Alfonso Quarto. Il precedente colpo di scena risaliva al maggio 2021, quando la Corte di Cassazione ha annullato il verdetto di appello che nel dicembre 2019 aveva inchiodato il rampollo Vincenzo Lo Russo, il ras Giulio De Angioletti e Antonio Festa a condanne comprese tra gli otto e i dodici anni di reclusione. L’inchiesta che ha portato alla sbarra gli ultimi reduci del clan dei “Capitoni” era stata condotta dal pm Woodcock e nel 2016 era culminata nell’esecuzione di dodici arresti. L’indagine della Dda di Napoli aveva in particolare rilevato una lunga serie di intrecci e rapporti fra il clan Lo Russo di Miano e la società di pulizie Kuadra Srl, circostanza che aveva spinto la pubblica accusa a ipotizzare numerose irregolarità in appalti per le pulizie all’interno di alcuni dei principali ospedali del capoluogo. Fino al giudizio di appello l’impianto della Procura aveva sostanzialmente retto, tant’è che Vincenzo Lo Russo e Antonio Festa avevano rimediato 8 anni di carcere, Giulio De Angioletti invece 12 anni. La partita giudiziaria si è però clamorosamente riaperta in Cassazione. È in questa sede, infatti, che i legali dei tre imputati sono riusciti a ribaltare la situazione. Il collegio difensivo ha fatto leva su una complessa questione giuridica e di merito. Il primo nodo portato sul tavolo della Cassazione era stato quello relativo alla posizione del figlio del capoclan Giuseppe Lo Russo, che in primo grado era già stato assolto dall’accusa di associazione mafiosa. La condotta contestata nel grado di giudizio definito era però sostanzialmente la stessa per la quale Vincenzo Lo Russo era già stato scagionato. Per quanto riguarda invece De Angioletti, l’anziano ras era già stato condannato con sentenza passata in giudicato proprio per il racket negli ospedali. Il dubbio della difesa, ferma restando la presunzione di innocenza fino all’eventuale condanna definitiva, era che le contestazioni che hanno portato i tre “Capitoni” alla sbarra potessero in realtà essere il frutto avvelenato di una nuova organizzazione. Una questione di estrema complessità giuridica, per la quale la Corte di Cassazione aveva stabilito la necessità di un nuovo processo di appello.
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