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17 Febbraio 2024 - 09:23
NAPOLI. «Le criticità nel carcere di Poggioreale sono diverse, sia a livello sanitario che di vitto. Basti pensare che c’è una sola cucina per 1.500 persone. E poi rimane il problema del sovraffollamento, con celle anche con più persone che devono dividere un solo bagno. Questo comporta anche delle difficoltà per attuare la funzione rieducativa del carcere, visto che su 1.200 reclusi solo 300 lavorano mentre gli altri passano le giornate senza poter fare nulla». A parlare è don Franco Esposito, ex cappellano della casa circondariale di Poggioreale “Giuseppe Salvia” e attualmente alla testa dell’associazione di volontariato “Liberi di volare”, che ha la sua sede al rione Sanità, che ha 50 detenuti in affidamento e altri dieci in una casa di accoglienza.
Don Franco, quali sono le conseguenze di questa situazione?
«Sostanzialmente il rischio di aumento dea problemi psichici. Attualmente un 30 per cento soffre di di queste patologie. Poi ci sono anche tossicodipendenti. Tutte persone che avrebbe bisogno di supporto psicologico, con gli specialisti che sono costretti ad arrabattarsi per incontrare i detenuti».
Altro fenomeno, che è però di carattere non solo napoletano ma nazionale, è quello dei suicidi…
«È chiaro che vivere una situazione così complicata porta a un aumento di suicidi e atti di autolesionismo. Ma si tratta di problemi che riguardano tutte le carceri d’Italia. Ma quello che terrei a evidenziare è il taglio delle affettività. Un detenuto non ha la possibilità di chiamare almeno una volta al giorno a casa, per cui se c’è un problema, per esempio un familiare che sta male, deve attendere una settimana per sapere com’è la situazione. Anche l’impossibilità di stare con il partner, come avviene in diversi penitenziari europei, per vivere ogni tanto anche l’intimità rappresenta un ulteriore elemento, nell’ambito della privazione dell’affettività, che finisce per acuire problemi di carattere psicologico e atti di autolesionismo. E dire che sarebbero cose da poter realizzare a costo zero…».
Chi andrebbe sollecitato?
«Sicuramente il Dap ma credo che le responsabilità le abbia la politica che ha sempre pensato che con il carcere si potessero affrontare tutti i problemi non valutando che in diversi casi si potrebbe ricorrere a misure alternative. Io ho una comunità di accoglienza che è della chiesa ma non è sostenuta da alcuna organizzazione statale».
La presenza dei sacerdoti come viene vissuta dai detenuti?
«A Poggioreale siamo una sessantina tra religiosi e volontari. I reclusi non ci vedono come componente del carcere ma come comunità esterna che attraverso i progetti e la catechesi li aiuta a rendere vivibile una situazione difficile».
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