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17 Febbraio 2024 - 10:55
NAPOLI. Tre ergastoli spazzati via in un colpo solo e il processo torna al punto di partenza. La Corte di Cassazione ha nuovamente annullato l’ergastolo inflitto ai boss Raffaele Abbinante, al figlio Francesco Abbinante (nella foto a sinistra) e a Vincenzo Pariante (nella foto a destra) per il duplice omicidio Montanino-Salierno, delitti che innescarono la prima faida di Scampia. In primo grado e in appello i tre furono condannati all’ergastolo, ma poi la Cassazione dispose un primo annullamento con rinvio e così la Corte d’appello di Napoli confermò la sentenza di primo grado. Il legale dei tre boss, Claudio Davino, ha presentato nuovo ricorso e la Suprema Corte ha accolto le argomentazioni dei due avvocati annullando con rinvio ad un nuovo giudizio d’appello. Tutto da rifare dunque. Ancora una volta. Nel giugno del 2019 la Cassazione pose la parola fine al processo per i vertici della Scissione che con quel duplice omicidio sancirono la rottura dai Di Lauro. Ad essere condannati i boss Cesare Pagano (capo degli Amato-Pagano), il nipote Carmine Pagano, Arcangelo Abete, Antonio Della Corte, Angelo Marino, Gennaro Marino, Ciro Mauriello ed Enzo Notturno. Condanna a 21 anni per Rito Calzone, Roberto Manganiello e Francesco Barone (la cui mamma, Carmela Attrice, venne uccisa proprio nei primi mesi della faida perché non volle lasciare le Case Celesti come impostole dal clan Di Lauro) e per Ferdinando Emolo, il solo imputato ad essere affiliato al clan Di Lauro: il ras fu condannato per spari in luoghi pubblico e porto e detenzione illegale di una pistola, con tanto di aggravante della matrice camorristica perché, a seguito del duplice omicidio di Fulvio Montanino (braccio destro di Cosimo Di Lauro) e di suo zio Claudio Salierno, i Di Lauro seminarono il terrore nelle Case Celesti. Fondamentali per ricostruire il contesto in cui maturò l’omicidio il racconto di numerosi collaboratori di giustizia tra cui Luigi Secondo che spiegò ai magistrati: «Arcangelo Abete e Gennaro Marino spingevano per l’eliminazione di Montanino, perché presumevano che uccidendolo, Paolo Di Lauro, allora in fuga, sarebbe tornato a guidare il clan».
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