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19 Febbraio 2024 - 07:30
NAPOLI. Se alla fine del processo Giovanni Rendina e Salvatore Allard saranno riconosciuti colpevoli dell’omicidio del maresciallo Domenico Attianese, bisognerà fare un grande applauso agli inquirenti. Individuare i presunti responsabili dopo più di 37 anni è una sorta di record, tenendo anche conto che i due indagati nel corso degli anni hanno mantenuto tutte le precauzioni possibili e immaginabili. A cominciare da una circostanza precisa: entrambi originari del Rione Sanità e residenti nel quartiere nella maggior parte della loro vita, mai sono stati notati e fermati insieme per un controllo nonostante secondo la polizia si conoscessero. Così, complice anche il fatto che la prima pista seguita è risultata sbagliata, sono finiti nel mirino soltanto nel 2023. Nel frattempo, dopo l’arresto del 5 febbraio scorso, i due restano in carcere in seguito all’interrogatorio di garanzia davanti al gip.
I NUOVI INDIZI A CARICO. Un’impronta papillare sul vetro della gioielleria, un’altra sul portagioie da cui avevano preso alcuni preziosi. Così, grazie alla migliore risoluzione delle immagini rispetto all’epoca dei fatti e alla banca dati in possesso della Scientifica, dal 25 gennaio scorso si trovano in carcere i presunti assassini del 46enne sovrintendente di polizia che il 4 dicembre 1986 cercò di fermare i rapinatori e impedire il colpo. Domenico Attianese abitava a poca distanza, a Pianura, e pur libero dal servizio intervenne subito. Ma nella colluttazione dentro il negozio gli fu esploso contro un proiettile alla nuca che gli procurò istantaneamente la morte. A sparare, nella ricostruzione della Procura su indagini compiute dai poliziotti della sezione “Omicidi” della Squadra mobile della questura (dirigente Alfredo Fabbrocini, ora questore, vice questore Luigi Vissicchio), sarebbe stato Giovanni Rendina, da pochi giorni 60enne. Gli investigatori l’hanno arrestato in una comunità di Caserta mentre Salvatore Allard è stato rintracciato a Verzuolo (in provincia di Cuneo) dove lavora per il Comune presso il cimitero. Originari del Rione Sanità con precedenti a carico per reati predatori, entrambi hanno cambiato vita e sono rimasti di sasso trovandosi di fronte al personale della Questura in borghese con in mano il provvedimento restrittivo.
AVEVANO CAMBIATO VITA. La soluzione del cold case è essenzialmente il frutto delle investigazioni scientifiche all’avanguardia, ma la tenacia e la bravura degli inquirenti hanno avuto un enorme peso specifico. Sono stati risentiti tutti testimoni dell’epoca, a partire dalla figlia della vittima, e dalla comparazione tra le foto degli indagati nel 1986 e la loro immagine attuale. Coloro che li hanno visti in quel tragico pomeriggio del 4 dicembre 1986 li ricordano nitidamente: Giovanni Rendina bruno, magro; Salvatore Allard, anch’egli con i capelli neri ma più massiccio come corporatura.
SI CERCA UN TERZO COMPLICE. Con loro c’era un terzo uomo, rimasto sconosciuto: biondo con gli occhi celesti, alto, vestito elegantemente. Oggi Rendina ha 60 anni compiuti da pochi giorni, Allard 58. Devono essere ritenuti innocenti fino all’eventuale condanna definitiva. Mai erano finiti nel mirino degli inquirenti e solo la riapertura dell’inchiesta, esattamente un anno fa, li ha fatti emergere. Per l’omicidio del sovrintendente Attianese furono arrestati e processati due uomini di Pianura tirati in ballo da un collaboratore di giustizia, ma non c’entravano nulla. Nessun riscontro a carico fu trovato e i giudici li assolsero già in primo grado senza che la procura facesse ricorso.
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