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20 Febbraio 2024 - 09:35
Il figlio di Ciruzzo “’o milionario” è indagato assieme a Umberto Lamonica
NAPOLI. Resta in carcere ma diventa meno grave la posizione giudiziaria di Vincenzo Di Lauro, secondogenito del boss Paolo detto “Ciruzzo ’o milionario”. Ieri il Riesame ha annullato l’ordinanza di custodia cautelare eseguita lo scorso 29 gennaio, imperniata soprattutto su una presunta estorsione da 100mila euro al gestore di una sala slot di Arzano. “F2”, com’è conosciuto il figlio del ras, è indagato insieme a Umberto Lamonica e Gennaro Bizzarro per tutti e tre le accuse subiscono un importante colpo.
La difesa di Vincenzo Di Lauro (rappresentata dagli avvocati Antonio Abet e Antonio Liguori) ha messo in evidenza l’inutilizzabilità del racconto della vittima e la ricostruzione degli inquirenti, secondo i quali all’esercente delle slot machine era stato chiesto di cedere l’attività in cambio di 150mila euro e della protezione dalla vendetta che il compagno della ex moglie (oggi pentito e in passato legato agli Amato-Pagano) avrebbe avuto in animo di compiere nei suoi confronti. Per Gennaro Bizzarro, assistito dagli avvocati Luigi Poziello e Gianpaolo Schettino, ieri è arrivata la scarcerazione in seguito all’annullamento dell’ordinanza di custodia cautelare.
Con la premessa che deve essere confermata in giudizio la ricostruzione della Dda, che ha coordinato le indagini dei carabinieri del Ros e della Tenenza di Arzano, l’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip ha riguardato Vincenzo Di Lauro, 48 anni; Umberto Lamonica, 45; Giovanni Cortese “’o cavallaro”, 43; Gennaro Bizzarro, 46, e Mario Cortese, 21enne figlio di Giovanni. I primi 3 erano già detenuti e sono tutti da considerare innocenti fino all’eventuale condanna definitiva. Dunque, secondo la Dda il clan Di Lauro si riteneva proprietario del bar e la vittima ha pagato 15 cambiali da 1000 euro ognuna prima di chiudere bottega e aprire un altro locale pensando di aver chiuso con il passato.
Invece in tre, tra cui Mario Cortese, si sono fatti vivi ricordando che il commerciante doveva ancora dei soldi: 70.000 euro in rate mensili, che si sono protratte fino a luglio 2022 quando l’uomo ha deciso di cedere l’attività, pensando che potesse cessare l’imposizione. Invece a gennaio 2023, quando lo stesso ha aperto un altro bar in un'altra zona di Arzano, gli estorsori sono tornati alla carica, chiedendogli nuovamente la quota estorsiva e minacciandolo di morte nel caso di un rifiuto.
A quel punto la vittima ha capito che solo lo Stato poteva aiutarlo e ha presentato denuncia ai carabinieri di Arzano, ai quali va il merito di aver scoperchiato il vaso Di Pandora. Ma la storia aveva un prologo, altrettanto importante. Sentita dal pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia partenopea, l’uomo ha successivamente affermato che alcuni esponenti del clan Di Lauro gli avevano imposto di pagare delle somme a titolo di estorsione già a partire dal 2018 in quanto la famiglia camorristica si riteneva proprietaria della sua attività. Effettivamente, come riscontrato in questo caso dai militari del Ros di Napoli e in attesa del vaglio dei giudici, la vittima intorno ai primi giorni di gennaio del 2019, aveva corrisposto 100.000 euro in contanti per far cessare ogni pretesa, seppur priva di motivazione.
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