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22 Marzo 2024 - 08:09
NAPOLI. Il ddl sull’autonomia differenziata, approvato al Senato e ora in discussione alla Camera, potrebbe segnare un punto di non ritorno nell’equità dell’assistenza sanitaria tra le Regioni italiane, in un contesto caratterizzato dalla grave crisi di sostenibilità del Servizio sanitario nazionale, e portare al collasso la sanità delle regioni del Sud, già in fondo alle classifiche per cure essenziali e aspettativa di vita. Al Nord invece si profila il rischio di sovraccarico da mobilità sanitaria. È l’allarme della Fondazione Gimbe che esprimerà le proprie posizioni nell’audizione in commissione Affari costituzionali della Camera. In sanità «il gap tra Nord e Sud configura ormai una “frattura strutturale”», evidenzia il report citando i dati sugli adempimenti ai Lea e quelli sulla mobilità sanitaria. «Alla maggior parte dei residenti al Sud non sono garantiti nemmeno i Lea», si legge, il che alimenta il fenomeno della mobilità sanitaria verso le regioni che hanno già sottoscritto i pre-accordi per le maggiori autonomie. Gli autori del rapporto reputano impossibile, come spesso affermato, che le maggiori autonomie in sanità possano ridurre le diseguaglianze esistenti.
I LIVELLI ESSENZIALI DI ASSISTENZA. Nel dettaglio, spiega Gimbe, dagli adempimenti ai Livelli essenziali di assistenza - le prestazioni sanitarie che le Regioni devono garantire gratuitamente o previo il pagamento del ticket - valutati con la griglia Lea nel decennio 2010-2019, emerge che nelle prime dieci posizioni non c’è nessuna regione del Sud e che le tre che hanno richiesto maggiori autonomie si collocano nella top five della classifica. Con il nuovo sistema di garanzia che ha sostituito la griglia Lea, nel 2020 delle undici regioni adempienti l’unica del Sud è la Puglia, a cui nel 2021 si aggiungono Abruzzo e Basilicata. E sia nel 2020 che nel 2021 le Regioni del Sud sono ultime tra quelle adempienti.
L’ASPETTATIVA DI VITA. E ancora, segnala la Fondazione, nel 2022 a fronte di un’aspettativa di vita alla nascita di 82,6 anni (media nazionale), si registrano notevoli differenze regionali: dagli 84,2 anni della Provincia autonoma di Trento agli 81 anni della Campania, un gap di 3,2 anni. E in tutte le otto regioni del Mezzogiorno l’aspettativa di vita è inferiore alla media nazionale, «spia indiretta della bassa qualità dei servizi sanitari regionali».
LA MOBILITÀ SANITARIA. L’analisi della mobilità sanitaria, prosegue l’analisi di Gimbe, conferma la forte capacità attrattiva delle regioni del Nord e la fuga da quelle del Centro-Sud: nel periodo 2010-2021 tutte quelle del Sud, Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia (eccezion fatta per il Molise) hanno accumulato complessivamente un saldo negativo pari a 13,2 miliardi di euro, mentre sul podio per saldo attivo si trovano proprio le tre regioni che hanno già richiesto le maggiori autonomie, si legge nel report. Nel 2021, su 4,25 miliardi di valore della mobilità sanitaria, il 93,3 per cento della mobilità attiva si concentra in Emilia Romagna, Lombardia e Veneto, mentre il 76,9 del saldo passivo grava su Calabria, Campania, Sicilia, Lazio, Puglia e Abruzzo.
PNRR, OBIETTIVI A RILENTO. Il raggiungimento degli obiettivi della Missione Salute del Pnrr è «rallentato dalle scarse performance delle regioni del Centro-Sud»; dagli over 65 da assistere in Adi «con abnormi obiettivi di incremento di circa il 300 per cento per Campania, Lazio, Puglia e oltre il 400 per la Calabria»; dall’attuazione del fascicolo sanitario elettronico con percentuali di attivazione e alimentazione molto basse; dal numero di strutture da edificare (Case di comunità, Centrali operative territoriali, Ospedali di comunità); e alla dotazione di personale infermieristico, «ben al di sotto della media nazionale soprattutto in Campania, Sicilia e Calabria».
IL PARADOSSO. Ma l’ulteriore indebolimento dei servizi sanitari nel Mezzogiorno «rischia di generare un effetto paradosso nelle ricche regioni del Nord» che, avverte il rapporto, non possono aumentare in maniera illimitata la produzione di servizi e prestazioni sanitarie. «Di conseguenza un massivo incremento della mobilità verso queste regioni rischia di peggiorare l’assistenza sanitaria per i propri residenti». In tal senso, «una“spia rossa” si è già accesa in Lombardia, che nel 2021 si trova sì al primo posto per mobilità attiva (732,5 milioni di euro), ma anche al secondo posto per mobilità passiva (-461,4 milioni): in altre parole, un numero molto elevato di cittadini lombardi va a curarsi fuori regione» dice il presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta. Che aggiunge: «Se da un lato non si intravedono risorse né per rilanciare il finanziamento pubblico della sanità, né tantomeno per colmare le diseguaglianze regionali, dall’altro con l’autonomia differenziata le Regioni potranno trattenere il gettito fiscale, che non verrebbe più redistribuito su base nazionale, impoverendo ulteriormente il Mezzogiorno».
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