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26 Marzo 2024 - 08:44
NAPOLI. “C’ha messo la faccia”. Sarebbe stato Nicolas Brunetti, fratello del più noto Manuel, il re della vendita dei telefonini all’interno del carcere di Secondigliano. Un ruolo che emerge dalle dichiarazioni del pentito Salvatore Giuliano sulla base di confidenze ricevute dal cugino Giuliano Cedola. Il quale spiegò al “rosso” di Forcella anche la tecnica utilizzata dal compagno detenuto per afferrare gli apparecchi trasportati dai droni, manovrati all’esterno da un fotografo. Un’organizzazione perfetta, che soltanto l’indagine approfondita conclusasi con i 21 arresti martedì scorsa poteva sgominare. Salvatore Giuliano, va precisato, non è testimone diretto in quanto nel periodo dell’inchiesta non si trovava a Secondigliano. Ma aveva un formidabile informatore, il cugino, che naturalmente non poteva sapere della futura decisione del congiunto di pentirsi e manco lo immaginava. Così le dichiarazioni dell’ex giovane ras di Forcella appaiono agli inquirenti genuini, tanto più perché ricche di particolari. Eccone alcuni passaggi, ferma restando la presunzione d’innocenza degli indagati fino all’eventuale condanna definitiva. “Sia il carcere di Poggioreale che quello di Secondigliano”, ha messo a verbale Salvatore Giuliano il 14 luglio 2021, “sono pieni di telefonini acquistati da detenuti che li fanno entrare e che poi vengono rivenduti a 350 auro l’uno e a 100 euro la scheda telefonica. Non sono in grado di indicare le persone che fanno entrare gli apparecchi, posso però dire che presso il carcere di Secondigliano Nicolas Brunetti, fratello di Manuel, ivi detenuto, ha instaurato un vero e proprio business e guadagna molti soldi”. Successivamente il collaboratore di giustizia nel corso dello stesso interrogatorio al pm dell’antimafia è entrato nel dettaglio. “Nicolas Brunetti è colui che “ci ha messo la faccia” in questa attività, nel senso che all’internoi del carcere di Secondigliano costituisce il riferimento degli altri detenuti per portare i telefoni dall’esterno all’interno, rivendendoli poi a cifre altee a seconda della tipologia dei telefono che procura. I telefoni entrano attraverso un drone che parte ed è manovrato da un palazzo che si trova di fronte all’istituto penitenziario. Per quanto mi ha raccontato mio cugino Giuliano Cedola, a fare le manovre è un fotografo che per ogni viaggio prenderebbe 3.000 euro”. Il drone viene fatto partire di notte, e il meccanismo utilizzato consente di eludere i controlli da parte degli addetti alla vigilanza della struttura carceraria. Infatti mi è stato riferito che per evitare di essere intercettato, come normalmente accade in quanto presso le carceri c’è un sistema di controllo dello spazio aereo, il drone è modificato attraverso un congegno che elude la barriera. Ad esso è legato un lungo filo nero al quale è appesa una busta scura dentro cui ci sono i telefonini, le schede telefoniche e le barrette di “fumo”. Tra gli indagati che si spostavano in macchina per portare i droni vicino alle carceri c’è Antonio Gianpaolo Talletti, titolare di uno studio fotografico fino al 2009.
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