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28 Marzo 2024 - 08:00
NAPOLI. «Pensavo al massimo a un pestaggio, non a un omicidio. Perciò nei giorni successivi protestai con gli altri del clan per essere stato chiamato a partecipare a un’azione di cui non sapevo l’obiettivo. Non avrei acconsentito a un omicidio per un movente del genere e in ogni caso non sarei andato a prelevare il ragazzo». Tra le carte dell’inchiesta sull’omicidio di Giulio Giaccio colpiscono le dichiarazioni di Roberto Perrone, primo a riferire ai pm antimafia ciò che sapeva e aveva vissuto in prima persona sulla terribile fine del 26enne muratore incensurato. Dopo Perrone hanno parlato Biagio Di Lanno, Gaetano D’Ausilio e Giuseppe Simioli. Ma soprattutto l’ex ras di Quarto ha fornito elementi riscontrabili, alla base dei due provvedimenti restrittivi, eseguito dagli investigatori dell’Arma, che avrebbero chiuso il cerchio delle indagini con l’individuazione dei presunti mandanti, del presunto esecutore con i complici a bordo della Punto. L’amico di Giulio, unico testimone del sequestro, specificò che non sarebbe stato in grado di riconoscere i finti poliziotti, circostanza vera. Ciò gli salvò la vita perché alcuni giorni dopo un emissario si informò sulle sue dichiarazioni.
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