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Gadget natalizi, condanne e assoluzioni

Gadget natalizi, condanne e assoluzioni

Pugno duro dei giudici per Giovanni Boggia, Giovanni Marrone ed Eduardo Moio. Dall’inchiesta di Guardia di Finanza e polizia emergeva anche l’ombra degli Amato-Pagano

NAPOLI. Condanne e assoluzioni alla fine del processo di primo grado scaturito da un’indagine della Guardia di Finanza e della polizia di Stato su un giro di estorsioni gestito a Melito in forma indiretta dal clan AmatoPagano, nel quale figuravano tra gli imputati imprenditori, colletti bianchi e due vigili urbani. Tra i business scoperti, secondo i magistrati c’erano i gadget natalizi imposti e il servizio di onoranze funebri. Un settore, quello dei funerali, che già in passato a Napoli è stato oggetto di infiltrazioni camorristiche.

I giudici del tribunale di Napoli, in primo grado, si sono espressi ieri condannando Giovanni Boggia e Giovanni Marrone a 13 anni e 6 mesi di reclusione, con interdizione perpetua dai pubblici uffici e con un anno di libertà vigilata alla fine dell’espiazione della pena; Eduardo Moio a 12 anni di reclusione, interdizione dai pubblici uffici e confisca della società “Moio trasporti funebri”; Gaetano Marrone a 12 anni di reclusione, pagamento delle spese processuali, libertà vigilata per un anno una volta scontata la pena. Inoltre, il collegio C della prima sezione penale ha condannato Giovanni Boggia e Giovanni Marrone a risarcire i danni patrimoniali patiti dal Comune di Melito, determinati in 15mila euro.

Alla sbarra c’erano 13 imputati e tra essi figurano numerosi assolti: Antonio Musella (difeso dall’avvocato Luigi Ferro); Rocco Papa; Luigi Marrone; Andrea Coppola; Nicolina Boggia; Concetta Sanguinetti; Salvatore Nastro; Raffaele Liberti; Carmine Chianese; Francesco Capozzi. In particolare Musella era accusato di estorsione ai danni di Luigi Barretta, ma la strategia difensiva del suo avvocato è riuscita a far emergere l’estraneità al reato dell’uomo. Tutti comunque, devono essere ritenuti innocenti fino all’eventuale condanna definitiva. Dalle indagini era emersa un’ingerenza del clan Amato-Pagano nel settore dei servizi funebri, con particolare riguardo alle attività svolte da società presenti sul territorio, con l’ipotesi di accordi tra le imprese al fine di determinare vere e proprie competenze territoriali, dalle quali non era possibile sconfinare per non alterare gli equilibri imposti dall’organizzazione criminale.

Dalle risultanze investigative si deduceva che il sodalizio individuava, nello specifico settore redditizio, una ditta con la quale costituiva di fatto una “società” che, dietro una contropartita economica, operava sui territori dì egemonia del gruppo in assoluto regime cli monopolio. Gli equilibri interni degli “scissionisti” avrebbero, nel corso del tempo, dal 2010 ai giorni nostri, inciso sulla posizione di supremazia dell’una o altra ditta, influenzando i rapporti tra le singole imprese funebri ed il clan, nonché tra gli affiliati deputati alla gestione del settore. Nello specifico esisteva, secondo i magistrati, inizialmente una cogestione: una sorta di società di fatto nel settore dei servizi connessi al “caro estinto”, sostanzialmente imposta dal clan al fine di arginare l’attenzione delle forze dell’ordine.

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