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30 Marzo 2024 - 09:14
Era detenuto a L’Aquila, nel reparto di massima sicurezza in regime di carcere duro, il boss dei Casalesi Francesco Schiavone “Sandokan”, oggi 70enne. Dalla sua cella ha fatto pervenire una richiesta di incontro ai magistrati della Direzione Nazionale Antimafia - guidata dal procuratore Giovanni Melillo - per avviare i primi colloqui per la collaborazione con la giustizia. Una resa, a quasi 26 anni dal suo arresto, arrivata pochi mesi prima della scarcerazione del figlio Emanuele Schiavone, che dovrebbe tornare in libertà per fine pena entro l’estate. Nel 2018 e nel 2021, si erano già pentiti altri due figli di “Sandokan”: prima Nicola, poi Walter Schiavone. Una scelta che il 70enne fondatore del clan dei Casalesi non aveva seguito, fino a una decina di giorni fa, proprio in concomitanza con il trentesimo anniversario dell’omicidio di don Peppe Diana, ucciso il 19 marzo 1994 a Casal di Principe, dove fu catturato l’allora boss latitante quattro anni dopo. Il suo primo arresto da latitante avvenne in Francia, a Nizza, nel 1989, quando Schiavone era già ritenuto ai vertici dei Casalesi insieme a Iovine e Bidognetti. Scarcerato per decorrenza dei termini dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere in attesa dell’estradizione, riprese la guida del clan dall’estero. Tornato in Italia, dopo un’assoluzione scontò un residuo di pena di appena 3 mesi nel 1992, prima di scomparire dai radar dopo l’avvio della collaborazione da parte di suo cugino Carmine Schiavone, che si pentì nel 1993. La cattura di Francesco Schiavone è avvenuta l’11 luglio 1998, quando il boss dei Casalesi fu scovato in un bunker a Casal di Principe, sua città di origine. Al momento, il contenuto dei primi verbali illustrativi è secretato. Ma, come accade solitamente per i collaboratori di giustizia, nei primi colloqui si confessano i delitti eccellenti. Tra le rivelazioni di Schiavone, potrebbero esserci conferme sulla sua scalata ai vertici del clan dei Casalesi e sull’omicidio di Antonio Bardellino, ucciso in Brasile nel 1988, delitto che gli permise di prendere il comando dell’organizzazione. Ergastolano, Francesco Schiavone è ininterrottamente detenuto al 41 bis da quasi 26 anni. Da principale imputato, è stato condannato all’ergastolo nel maxi processo Spartacus, nel quale era accusato di sei omicidi, ma sta scontando altre condanne definitive all’ergastolo per almeno altri cinque omicidi. Tra i segreti potrebbero esserci anche rapporti con politici e con l’imprenditoria casertana. Un espediente per giustificare il suo trasferimento dal carcere di Parma dove era al 41bis a quello dell’Aquila, dove ha iniziato a collaborare: così fonti investigative spiegano la voce circolata negli ultimi giorni secondo la quale Schiavone fosse gravemente malato. Secondo l’indiscrezione il capo dei Casalesi era affetto da una neoplasia ma la realtà sarebbe diversa: c’erano state delle avvisaglie, ma poi gli esami hanno smentito ogni patologia. La voce non è stata però smentita proprio per mantenere più riservata possibile la sua scelta di collaborazione.
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