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15 Maggio 2024 - 08:00
NAPOLI. Autoriciclaggio e trasferimento fraudolento di valori, aggravati dal metodo mafioso e con la finalità di agevolare il clan Contini. Un’inchiesta importante, che ha portato anche al sequestro di quote della società che gestisce la famosa pizzeria “Dal Presidente” in via dei Tribunali, chiamata così perché il fondatore preparò la margherita che mangiò Bill Clinton durante una visita a Napoli. In cinque all’alba di ieri sono finiti in stato d’arresto: tre in carcere e due ai domiciliari, una commercialista e un sostituto commissario di polizia (limitatamente a un solo capo d’imputazione). Tutti da considerare innocenti fino all’eventuale condanna definitiva, come sottolinea la stessa procura. Il valore complessivo dei beni finiti sotto il controllo dello Stato è di oltre 3,5 milioni di euro. L’indagine, coordinata dalla Dda (pm Alessandra Converso e Daniela Varone), è stata condotta dalla Guardia di Finanza e in particolare dai militari del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Napoli in tandem con il Servizio centrale investigazione criminalità organizzata (Scico) e il Gico di Napoli con il colonnello Danilo Toma. Nella fase esecutiva delle misure cautelari si è avuta la collaborazione della Squadra mobile della questura partenopea. Per i cinque destinatari della misura è stata un’alba amara: Vincenzo Capozzoli detto “Enzo ’a miseria”, 48 anni, storicamente accostato al clan Contini; Massimiliano Di Caprio “’a caprett”, di un anno più grande, anch’egli già noto alle forze dell’ordine ma senza affiliazioni camorristiche; suo cognato; Deborah Capasso, 46enne moglie di Di Caprio, incensurata; Giulia Nappo, commercialista 62enne, e Guido Albano, 56enne poliziotto in servizio alla Stradale dopo un passato di brillante investigatore con decine e decine di arresti e operazioni antidroga a Napoli. Lui e la professionista sono gli insospettabili finiti nel mirino degli specialisti e intercettati in conversazioni che hanno spinto la procura e chiedere e ottenere l’arresto (ai domiciliari). Tutti gli indagati avranno tempo e modo di far valere le proprie ragioni. L’attività investigativa avrebbe permesso di accertare l’intestazione fittizia a Deborah Capasso di due società operanti nel settore della ristorazione e panificazione per agevolare il raggiungimento di finalità illecite e per il sostentamento dei detenuti del clan e delle rispettive famiglie. L’impresa di ristorazione, che gestiva la pizzeria ai Decumani, sarebbe stata acquistata grazie all’apporto economico e alla “protezione” fornita da Vincenzo Capozzoli, alla cui famiglia secondo l’accusa era destinata parte dei relativi proventi anche dopo la sua detenzione con seguente ad una condanna per associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. Le risultanze investigative e le evidenze acquisite sui social avrebbero permesso di stabilire che la società era gestita, di fatto, dal cognato del detenuto, il quale si sarebbe affrancato avviando una nuova attività nel campo della panificazione e della vendita di prodotti da forno insieme al poliziotto che avrebbe investito 20mila euro.
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