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Campi Flegrei, il geologo Iannace: «Il rischio è la notevole urbanizzazione»

Campi Flegrei, il geologo Iannace: «Il rischio è la notevole urbanizzazione»

NAPOLI. Vulcano era, vulcano è rimasto nel corso del tempo. Tuttavia, l’area dei Campi Flegrei, dal punto di vista vulcanico, è considerata una delle più pericolose al mondo.Abbiamo posto delle domande ad Alessandro Iannace (nella foto), professore di Geologia stratificata presso la Federico II, autore tra l’altro del libro di divulgazione “Storia della Terra”.

I Campi Flegrei vulcano erano, vulcano sono rimasti. Cosa è cambiato nel corso del tempo?

«Era un’area pericolosa e tale deve essere considerata ancora oggi, nel senso che esiste la probabilità di eruzioni future. Ciò che l’ha fatta diventare l’area considerata più rischiosa al mondo è la forte urbanizzazione e l’incredibile sviluppo edilizio che abbiamo lasciato crescere senza pensare alla sua peculiarità geologica».

Quindi l’attenzione è alta.

«Con i terremoti già sappiamo e possiamo convivere, con il vulcano un po’ meno. Ciò che sta accadendo in questi ultimi anni nei Campi Flegrei è un fenomeno relativamente poco preoccupante poiché i terremoti che registriamo sono causati sulla base di numerose evidenze sperimentali, da movimenti di fluidi magmatici in profondità e non da risalite di masse magmatiche. La possibilità di una eruzione fa parte degli scenari ipotizzabili, ma certamente non è qualcosa di imminente. Queste informazioni oggi sono a disposizione di tutti (anche al sottoscritto) grazie al fatto che i vulcanologi e sismologi dell’Ingv e dell’Università, oltre alla intensa azione di monitoraggio e di studio, svolgono anche un ottimo lavoro di diffusione delle conoscenze».

C’è analogia dal punto di vista vulcanologico con quanto accadde nel 1538 quando la terra si sollevò dando vita al Monte Nuovo?

«Assolutamente no: allora la terra si sollevò di circa 12 metri in due anni, oggi lo spostamento è di circa un metro».

L’attuale crisi bradisismica è paragonabile a quella del 1982-84?

«Quello che distingue la fase attuale da quella di quarant’anni fa è la velocità del sollevamento. La deformazione totale del suolo negli anni ’80 fu raggiunta in circa due anni: la stessa deformazione si è oggi accumulata in più di dieci anni. Se c’è una cosa molto diversa oggi è la facilità con la quale circolano le informazioni su ogni singola scossa, elemento positivo ma che comporta anche un conseguente aumento dell’ansia nella popolazione».

Che cosa si sente di dire ai cittadini di Pozzuoli e dell’area flegrea?

«In primo luogo di informarsi attraverso i siti ufficiali e di avere fiducia nel fatto che il sistema è tra i più monitorati al mondo. Oggi nessuno nasconde dati. L’area interessata è comunque un’area vulcanica attiva ma le eruzioni sono stati in fondo brevi episodi che hanno interrotto una relativa calma negli ultimi 15mila anni. Quanto sta accadendo, cioè una sismicità legata a deformazioni del suolo, è invece un fenomeno magari più normale e continuo ma molto più blando e gestibile. Le conoscenze e tecnologie odierne geologiche, geofisiche e ingegneristiche consentono di convivere con terremoti di questa intensità».

C’è dunque da tranquillizzarsi?

«La parola tranquillità dovrebbe essere subordinata alle parole responsabilità e consapevolezza: chi risiede nell’area vive in un territorio attivo. Se decido di portare un bambino ad arrampicare in un Parco-Avventura, lo tranquillizzo non dicendogli che non c’è pericolo ma insegnandogli che, conoscendo i pericoli, li possiamo controllare. Questo nel breve periodo significa monitoraggio dello stato degli edifici, rigore nella lotta all’abusivismo e piani di evacuazione condivisi dalla popolazione. Ma, ancora più responsabilmente, bisognerebbe parallelamente pensare politiche del territorio su tempi lunghi, dell’ordine delle decine di anni, per non farsi trovare nelle condizioni attuali nell’ipotesi di scenari vulcanici».

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