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Napoli, 200mila tonnellate di rifiuti sepolti nell’ex cava Suarez. «Disastro ambientale»

Napoli, 200mila tonnellate di rifiuti sepolti nell’ex cava Suarez. «Disastro ambientale»

NAPOLI. Inquinamento e disastro ambientale nella gestione dei rifiuti sversati nella cava Suarez: ai domiciliari l'imprenditore Bruno Sansone. C'era anche amianto tra rifiuti sepolti e abbandonati all'interno del Parco Metropolitano delle Colline di Napoli.

I militari della Polizia Locale di Napoli, del Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri e del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza hanno eseguito una ordinanza applicativa di misura cautelare emessa dal Gip del Tribunale partenopeo, Antonio Baldassarre, su richiesta della quinta Sezione ''Ambiente Edilizia Urbanistica'' della Procura di Napoli (sostituto procuratore Giulio Vanacore), nei confronti di un imprenditore campano e delle sue aziende operanti nei settori dell'edilizia e dello smaltimento rifiuti, con a carico gravi indizi di reato per inquinamento e disastro ambientale.

Dalle indagini svolte, corroborate da precedenti risultanze processuali, da accertamenti dell'Agenzia Regionale Protezione Ambientale della Campania e dalla consulenza tecnica di una professoressa universitaria di geologia ambientale, è emerso che, nel corso degli anni, sarebbero stati sepolti e abbandonati ingentissimi quantitativi di rifiuti speciali, pericolosi o non, all'interno di una cava dismessa, all'interno del Parco Metropolitano delle Colline di Napoli, nell'area denominata ''ex cava Suarez''.

In particolare, quale esecutore e appaltatore delle opere di ripristino e recupero ambientale della predetta area, l'indagato avrebbe realizzato una discarica abusiva sversando e smaltendo illecitamente un volume di rifiuti pari ad almeno 146.000 - 176.000 metri cubi (corrispondente ad una massa compresa tra le 200.000 e 250.000 tonnellate), incluse notevoli quantità di amianto frantumato.

A CAVA SUAREZ SVERSATI I RIFIUTI DELLA METRO CAPODICHINO

Anche gli scarti degli scavi per la stazione della metropolitana di Capodichino sarebbero finiti all'interno della cava Suarez. È quanto emerso nel corso delle indagini. Agli arresti domiciliari è finito l'imprenditore Bruno Sansone, tre anni fa già coinvolto nell'inchiesta sulla mancata bonifica della cava Suarez, sottoposto al divieto di dimora con sequestro di beni da tre milioni di euro.

Per avere un'idea dell'entità dello scempio perpetrato - si legge in una nota della Procura guidata dal procuratore Nicola Gratteri - basti dire che il volume dei rifiuti smaltiti illecitamente, per come valutato dalla consulente, è pari a quello di un edificio con una base di 90 metri per 90 metri e un'altezza di 7/8 piani. Tale condotta avrebbe contribuito ad alterare l'equilibrio naturale del sito in esame, rimediabile solo con interventi particolarmente onerosi ed eccezionali, determinando una significativa offesa alla pubblica incolumità per via dell'inquinamento dell'area e dell'esposizione al pericolo di un numero considerevole di persone, trattandosi di zona densamente urbanizzata.

Oltre all'amianto, sarebbero stati smaltiti agenti inquinanti, metalli pesanti e idrocarburi derivati da vernici che potrebbero contaminare falde acquifere ed essere assorbiti dalle piante. Inoltre, nell'ultima fase delle indagini, è emerso che l'azienda di Sansone si fosse aggiudicata lo smaltimento dei rifiuti speciali degli scavi per la nuova stazione della metropolitana per l'aeroporto di Capodichino, rifiuti sversati ancora nella stessa cava Suarez.

Su queste basi, Bruno Sansone è stato posto agli arresti domiciliari e, contestualmente, sono stati sottoposti a sequestro preventivo gli autocarri e le macchine per il movimento terra delle società a lui riconducibili (per un valore quantificato in circa 1 milione di euro), una delle quali, direttamente beneficiaria delle condotte contestate, è stata anche interdetta dall'esercizio dell'attività imprenditoriale. Il medesimo imprenditore era già stato rinviato a giudizio per l'omessa bonifica proprio di cava Suarez, ordinata sia dal Comune di Napoli che dal giudice penale, con il sequestro di tre milioni di euro a suo carico, mancando di intervenire per il ripristino dell'area da almeno cinque anni.

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