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07 Giugno 2024 - 09:19
«Un marchio indelebile di ignominia sulla coscienza del clan Di Lauro». È lapidario il pm antimafia Maurizio De Marco che ieri mattina, nel corso della requisitoria nel processo che vede alla sbarra due componenti del commando che rapì e uccise Gelsomina Verde nel corso della prima faida di Scampia, ha chiesto trent’anni di carcere per Luigi De Lucia e Pasquale Rinaldi, alias “’o vichingo”, arrestati il 27 luglio dello scorso anno. Secondo la ricostruzione degli inquirenti che hanno coordinato l’inchiesta, Gelsomina Verde venne prelevata e portata nel luogo dove poi venne assassinata da tre persone: una si sedette sul lato passeggero della sua auto e le altre due - gli attuali imputati, in possesso dell’arma usata per il delitto - seguirono la vettura di Gelsomina fino al luogo dove venne assassinata, a colpi di pistola, da Ugo De Lucia, già condannato in via definitiva per la sua partecipazione al delitto. Il gruppo criminale dei Di Lauro riteneva - erroneamente - che Gelsomina sapesse dove si stava nascondendo Gennaro Notturno, detto “’o sarracino”, all’epoca emergente ras degli Scissionisti e oggi collaboratore di giustizia. La ragazza, invece, non era a conoscenza di questa informazione, negò ma non fu creduta. I sicari però non potevano lasciarla andare e a questo punto decisero di ucciderla. Poco dopo si accorsero di avere commesso un grave errore e diedero fuoco all’auto della vittima con all’interno il suo cadavere. Cosimo Di Lauro, figlio primogenito di Paolo, detto “Ciruzzo ’o milionario”, morto in carcere pochi anni fa, offrì 300mila euro alla famiglia, proprio per tentate di lavare la macchia che l’omicidio di Gelsomina aveva impresso sulla coscienza del clan Cosimo Di Lauro in appello è stato però assolto dall’accusa di essere stato il mandante del delitto. L’ultima svolta investigativa, cioè l’arresto di De Lucia e Rinaldi, è arrivata in seguito al pentimento del ras Salvatore Tamburrino.
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