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Strage in Tangenziale, l'appello: «"Nello", ora parla e riscattati»

Strage in Tangenziale, l'appello: «"Nello", ora parla e riscattati»

Per il dj Mormile il pg ha chiesto appena 16 anni di reclusione

NAPOLI. «Ci spieghi perché lo fece, Nello, lei è ancora in tempo. Si riscatti. Non può vivere col peso sulla coscienza di aver ucciso due persone solo per l'idea non perdere tempo nel ritorno a casa dopo aver sbagliato direzione in Tangenziale...”. Parole pesanti, quelle dell'avvocato Andrea Raguzzino, che risuonano nell'aula del tribunale di Napoli nella penultima udienza del processo di Appello a carico di Aniello Mormile, detto Nello, il dj che nella notte tra il 24 e il 25 luglio del 2015, dopo un folle percorso in contromano durato sei interminabili minuti in Tangenziale – da Agnano a Fuorigrotta – causò uno schianto che uccise due persone: Aniello Miranda, un padre di famiglia, che arrivava dalla parte giusta, e Livia Barbato, che era in auto con Nello e forse dormiva o forse lottò per provare a fermare la corsa folle. Raguzzino, avvocato di parte civile della famiglia Barbato, ha provato per l'ennesima volta ad accendere la luce in quel black out della memoria di Mormile e nel vuoto di moventi che era emerso, fin dal primo grado, nella ricostruzione di quella tragica nottata napoletana.

BATTUTE FINALI. Folle sfida, vendetta per un litigio con Livia o errore nella guida che Nello provò a rimediare tornando indietro alla barriera della Tangenziale degli Astroni, percorrendo 4 km e 800 metri contromano? Tesi, quest'ultima, sostenuta dai perizi del processo in corte d'Assise d'Appello (terza sezione, presidente Vincenzo Mastursi), secondo cui Nello avrebbe cercato di uscire, dalla direzione sbagliata, ovviamente, al casello di Fuorigrotta, proprio nel punto dove avvenne l'impatto. Per gli avvocati della difesa di Mormile, invece, Nello non sapeva neanche di essere in Tangenziale quando iniziò il contromano, in quanto completamente ubriaco e inconsapevole di dove fosse e di cosa facesse.  «No, era cosciente, sapeva cosa stava facendo, accettò il rischio di poter uccidere qualcuno», hanno accusato in aula gli avvocati della famiglia di Aniello Miranda, Manzi e Fabbrocini. La richiesta è la conferma della pena di primo grado, vent'anni per duplice omicidio volontario, con dolo eventuale (rito abbreviato). In Appello il gip ha chiesto invece sedici anni e sei mesi: il prossimo 15 giugno la difesa di Mormile proverà a far derubricare il reato in duplice omicido “colposo” e non volontario. Il 26 giugno la sentenza.

TENSIONE IN AULA. Toccanti i momenti di ricordo di Livia Barbato, alla presenza dei genitori della ragazza, con l'avvocato Raguzzino che ha fatto presente come la fotografa, ancora oggi, viva nella memoria dei suoi attraverso le sue fotografie, i suoi video, il suo diario personale, tutto materiale contenuto in un libro in uscita a luglio, “Viaggio al centro della notte” (Guida edizioni), firmato dal giornalista Luca Maurelli, che documenta aspetti inediti della vicenda e prova a ragionare su cosa sia accaduto quella notte e in quei misteriosi sei minuti di contromano. Di sicuro, la deriva alcolica, l'abitudine a guidare ubriachi che caratterizza le stragi del sabato sera, l'incoscienza e il disprezzo della vita altrui, hanno sicuramente giocato un ruolo decisivo nella tragedia, come già era emerso dalle parole dello stesso Mormile nell'interrogatorio del processo di primo grado, quando Raguzzino gli disse, a bruciapelo. “Non è stato un caso, è successo perché lei ha voluto bere!”. “È successo perché ho bevuto”. Una frase che vale più di una sentenza.

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