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03 Luglio 2018 - 20:04
Pianura, accuse contro i Mele e i Bellofiore. Ha già ricostruito i dettagli dell'omicidio di Vincenzo Birra
di Luigi Sannino
NAPOLI. Fu arrestato con il suo capo, Vincenzo Romano detto “muollo muollo”, ma non l’ha seguito subito nella decisione di pentirsi. Ora però Pasquale Esposito junior è il quinto collaboratore di giustizia in meno di 12 mesi di Pianura e ha già dato una mano considerevole a inquirenti e investigatori per due omicidi: quelli di Fosco Di Fusco e Vincenzo Birra. Delitto, quest’ultimo, per il quale ha puntato l’indice contro i fratelli ras Mele, Giuseppe e Salvatore, e Antonio Bellofiore. “Enzo parlava troppo e perciò fu ammazzato”, ha messo a verbale il pentito.
A ricostruire l’omicidio Birra, sulla base dei riscontri tecnici compiuti allora e delle dichiarazioni dei pentiti, sono stati i poliziotti della sezione “Omicidi” della squadra mobile della questura (dirigente Luigi Rinella, vice questore Mario Grassia). I quali hanno notificato ai 3 indagati, già detenuti per altri reati, il nuovo provvedimento restrittivo. All’agguato Pasquale Esposito junior, affiliato ai Mele-Romano, non ha partecipato. Il suo ruolo nel clan comunque, era preparare da un punto di vista organizzativo le azioni di fuoco. Ai pm antimafia ha raccontato di aver saputo da Vincenzo Mele (fratello di Giuseppe e Salvatore) e da Salvatore Romano che a sparare era stato, alla presenza di Giuseppe Mele, Antonio Bellofiore. Motivo: temevano che “Enzo” potesse rivelare l’identità degli autori in quanto stava parlando troppo in giro.
“Il killer è stato Antonio Bellofiore detto “Pulliciello””, ha messo a verbale il 27 dicembre 2017 Vincenzo Birra, “su ordine di Giuseppe e Salvatore Mele. L’omicidio fu commesso perché Vincenzo Birra raccontava in giro di aver commesso insieme ad antonio Bellofiore l’omicidio di Fosco Di Fusco, L’ho saputo da Salvatore Romano e da Vincenzo Mele, ma comunque in giro già si diceva. La dinamica non mi è stata raccontata, ma so che il fatto è avvenuto in via Sartori. So solo che Giuseppe Mele aveva fatto arrivare Birra nel posto in cui c’era Antonio “Pulliciello” e dove è stato poi trovato il cadavere”. “Giuseppe Mele”, aveva già raccontato Pasquale Esposito junior nell’interrogatorio precedente del 3 novembre, “è il capo ella nostra organizzazione insieme ai fratelli Salvatore e Vincenzo. Non l’ho mai conosciuto fuori dal carcere e non siamo mai stati detenuti insieme. Me lo presentò Vincenzo Mele e gli disse il mio nome. L’ho visto (si riferisce a Giuseppe, ndr) nel tribunale di Napoli in diverse occasioni durante le udienze per i processi che aveva. In tali occasioni eravamo sempre presenti io, Vincenzo Mele e Salvatore Romano. Le decisioni del clan comunque, erano sempre prese insieme dai fratelli Giuseppe e Salvatore Mele”.
Vincenzo Birra fu ucciso il 14 luglio 2013 e secondo la procura antimafia (con cui ha concordato il gip del tribunale di Napoli) in 5 parteciparono al delitto: i 2 fratelli Mele come mandanti e organizzatori, Giuseppe anche presenziando al momento dell’esecuzione; Antonio Bellofiore come esecutore materiale; Raffaele Dello Iacolo detto “Lelluccio toc toc” fornendo ai soci di camorra la pistola; Luigi Aversano detto “o’ musichiere” (ammazzato il mese successivo nell’ambito della guerra tra i Mele e i Pesce) come colui che condusse la vittima, ignara, sul luogo dell’agguato con una scusa.
Vincenzo Birra cadde così in una trappola e se ne rese conto soltanto nel momento in cui vide Antonio Bellofiore, che fino a un attimo prima considerava un amico come tutti gli altri, puntargli la pistola contro. Non ebbe il tempo, colto di sorpresa, nemmeno di tentare una fuga e restò a terra senza vita. Pochi giorni prima aveva confidato anche ad alcuni parenti di aver partecipato all’agguato a Fosco Di Fosco.
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