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Camorra

Macelleria messicana a Melito, ergastolo-bis per Ciro Di Lauro

Omicidio Riccio-Gagliardi, nuova stangata per il figlio di “’o milionario”

Macelleria messicana a Melito, ergastolo-bis per Ciro Di Lauro

Il boss Ciro Di Lauro, terzogenito di “Ciruzzo ’o milionario”; nei riquadri Salvatore Petriccione e Giovanni Cortese

NAPOLI. Macelleria messicana nella rivendita di tabacchi di Melito, stangata-bis per il figlio del boss “Ciruzzo ’o milionario”. Imputato con l’accusa di essere stato il mandate degli omicidi di Domenico Riccio, ammazzato in quanto sospettato di essere il cassiere del rivale clan Abbinante, e dell’innocente Salvatore Gagliardi, cognato del primo ma del tutto estraneo ai contesti camorristici, Ciro Di Lauro è stato condannato per la seconda volta alla pena dell’ergastolo.

La quinta sezione della Corte di assise di appello di Napoli ha confermato la sentenza di primo grado anche per l’altro imputato eccellente, Giovanni Cortese “’o cavallaro”, dilauriano della prima ora. Tira invece un sospiro di sollievo il ras della Vanella Grassi, Salvatore Petriccione “’o marenaro”, difeso dall’avvocato Domenico Dello Iacono, che si è visto cancellare la condanna all’ergastolo, rimediando 30 anni di carcere. I giudici gli hanno infatti concesso le attenuanti generiche dopo la confessione resa nel corso del processo di appello.

La svolta sul duplice omicidio avvenuto il 21 novembre 2004, agli esordi della prima faida di Scampia, è arrivata a febbraio 2022 dopo tanti anni grazie al pentimento di Massimo Molino, uno degli uomini che avrebbe dovuto prendere parte al delitto Riccio-Gagliardi. Molino, affiliato e sicario al servizio del clan Di Lauro, era da poco passato dalla parte dello Stato e con le sue scottanti rivelazioni ha deciso di fare luce su una drammatica pagina di camorra: la prima faida di Scampia e Secondigliano.

Molino, volto noto agli investigatori antimafia per i suoi precedenti penali e per essere il cognato del ras Maurizio Maione, aveva contribuito in maniera determinante a chiudere il cerchio intorno ai presunti mandanti e sicari dell’omicidio di Domenico Riccio e dell’innocente Salvatore Gagliardi, ammazzati con sei colpi di pistola in una tabaccheria di Melito la mattina del 21 novembre 2004, poche ore prima - tra l’altro - del brutale assassinio di Gelsomina Verde.

Per il duplice delitto erano finiti in manette il rampollo Ciro Di Lauro, figlio del capoclan Paolo, Giovanni Cortese “’o cavallaro”, Ciro Barretta (che aveva invece scelto il rito abbreviato ed è stato anch’egli condannato all’ergastolo) e Salvatore Petriccione. Dopo quasi vent’anni di indagini al ralenti, la svolta è arrivata il 17 novembre 2021, quando Molino, fresco collaboratore di giustizia, ha reso una prima deposizione agli inquirenti della Dda.

Accuse che sono andate a sommarsi alle precedenti sottoscritte dall’ex ras Salvatore Tamburrino: «Ciro Di Lauro - ha spiegato il neo pentito - ci disse che ci dovevamo affiancare, per fare la guerra, al gruppo di “Totore ’o marenaro”, nel quale c’erano Pasquale Malavita e Ciro Barretta “Cicciotto”». La vicenda viene quindi così ricostruita: «“’O marenaro” ci mandò l’imbasciata che si doveva uccidere questo Mimmo Riccio, che aveva una tabaccheria a Melito. Mio cognato Maurizio Maione decise di andare personalmente da Ciro Di Lauro per avere conferma».

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