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La sentenza
02 Luglio 2024 - 08:42
L’ex bibliotecario Marino Massimo De Caro; nel riquadro don Sandro Marsano
NAPOLI. Marino Massimo De Caro, il bibliotecario condannato ad altri cinque anni e tre mesi, in aggiunta ai sette già ricevuti nel 2013 per il furto di libri nella Biblioteca dei Padri dell’ Oratorio di San Filippo Neri, era consigliere del ministro per i Beni culturali del Governo Monti e la sua nomina fu approvata dal direttore generale del ministero, Maurizio Fallace.
Lo scrivono nella sentenza appena depositata i giudici della prima sezione penale del tribunale di Napoli (presidente Maurizio Conte, giudici a latere Federico Somma e Antonia Napolitano Tafuri).
Ampiamente titolato, esperto libraio antiquario, studi in biblioteconomia, De Caro non poteva destare nessun sospetto, dunque, nel Preposito degli Oratoriani di Napoli, il giovane sacerdote genovese Don Sandro Marsano, assolto da tutti reati dei quali era imputato il 12 marzo scorso. Con lui, assolti altri 6 dei 13 imputati.
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«Risulta affermata - scrivono i giudici nella sentenza - la responsabilità solo di sei degli imputati»: oltre a De Caro, la collaboratrice Stephane Del Salle, Luca Cableri, che aveva individuato una casa d’aste di Monaco di Baviera alla quale vendere i libri sottratti, Maurizio Bifolco, libraio antiquario romano, Mirko Camuri, e Stefano Ceccantoni, antiquario di Orvieto.
In 351 pagine i giudici smantellano gran parte dell’impianto accusatorio e fanno cadere le accuse di devastazione e saccheggio. Nei confronti del sacerdote - che ricopriva l’incarico di Conservatore della Biblioteca - «cui risultano contestate oltre all’ipotesi associativa anche tutte le altre imputazioni, non si sono ravvisati in nessuna delle varie numerose vicende elementi su cui fondare un giudizio di responsabilità penale».
1.095 volumi, quasi tutti riconducibili alla Biblioteca del complesso dei Padri dell’Oratorio di San Filippo Neri in via Duomo (per un totale di 815 opere a stampa e 7 manoscritti) sono stati sequestrati a Verona in un box della società Casaforte Hotel delle Cose, intestata all’ imputato, morto nella fasi di svolgimento del processo, Marco Ceriani.
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La sentenza elenca alcune centinaia di volumi dei quali però il valore venale andrebbe valutato caso per caso. Nonostante 8 cambi di collegi giudicanti, 11 anni di processo e 131 udienze, i magistrati hanno vagliato migliaia di pagine di atti giudiziari per una sentenza che spazza via giudizi sommari ed esagerazioni come la definizione di “furto più grande del secolo” data dal “New York Times” per la sottrazione dei libri della biblioteca.
Sullo sfondo questioni irrisolte, come la proprietà dei libri, dei quali lo Stato unitario si impossessò nel 1866 con le leggi sulle Soppressioni di Ordini e Congregazioni religiose, e di quelli che i Padri dell’ Oratorio (a Napoli chiamati Gerolamini) continuavano ad acquistare o a ricevere come lasciti, anche dopo l’ unificazione. E c’erano - scrivono i giudici - libri col timbro del 1895, frutto di donazioni private. Piuttosto che imputato, il Conservatore Don Sandro Marsano - aveva detto al “Roma” l’avvocato Manlio Pennino - avrebbe dovuto essere al processo la parte lesa.
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