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CAMORRA

Faida di Soccavo, nuova stoccata al clan Vigilia

Spaccio di droga e raid armati, la cosca di via Palazziello incassa quasi sessant'anni

Clan Vigilia alla sbarra

(Nelle foto gli imputati Pasquale Vigilia e Antonio Bellopede)

NAPOLI. Droga e agguati per assumere il controllo degli affari criminali a Soccavo, il gotha del clan Vigilia torna alla sbarra per un nuovo processo e incassa altre dieci condanne. Tra gli imputati spicca senz’altro il rampollo Pasquale Vigilia (nella foto a sinistra), che è però riuscito a limitare i danni rimediando 2 anni in continuazione con altra sentenza. Assolti soltanto Giuseppe Capoccia e Salvatore Paolillo, difesi dall’avvocato Antonella Regine. Il giudice ha invece stabilito il non luogo a procedere per Cristian Monaco, difeso dall’avvocato Giuseppe Perfetto, il cui reato è stato ritenuto ormai prescritto. Queste nel dettaglio le condanne disposte ieri pomeriggio dal gup Sepe: Antonio Bellopede, difeso dall’avvocato Leopoldo Perone, 3 anni; Silvio De Rosa e Antonio Di Napoli, 13 anni e 4 mesi (entrambi erano accusati del tentato omicidio di Luigi Testa); Giuseppe Frattini, 4 anni; Giuseppe Mauro, 8 anni; Francesco Mazziotti, 2 anni; Salvatore Mazziotti, 8 anni; Emanuele Summa, 4 anni e 8 mesi; Giuseppe Pipola, 2 anni in continuazione con altra sentenza; Pasquale Vigilia, difeso dall'avvocato Giuseppe De Gregorio, 2 anni in continuazione con altra sentenza. La sentenza di ieri finisce per fare il paio con il recente pronunciamento della Cassazione, in seguito al quale erano diventate definitiva 14 condanne a carico della cosca di Soccavo. L’inchiesta aveva consentito di svelare i nuovi affari degli storici clan flegrei. Una cosca in “stile mafia”, quella diretta dal boss Ciro Grimaldi “settirò”, che minacciava i pentiti e i loro familiari affinché nessuno seguisse il loro esempio. Non solo, il gruppo controllava le attività imprenditoriali ed economiche con il riciclaggio dei soldi che incassava ogni mese. Poi era stata creata una cassa comune sui generis. Diversa dalle altre casse comuni dei clan: era una sorta di sistema previdenziale parallelo gestito dagli stessi affiliati. Ognuno versava la propria quota e così contribuiva a rimpinguare le casse della cosca.

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