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criminalità
16 Luglio 2024 - 20:34
Nei riquadri gli imputati Salvatore Romano, Daniele Romano, Giuseppina Esposito, Antonio Russo e Cristofaro Alfano
NAPOLI. I loro telefoni erano a roventi, attivi h24 per inondare di droga le strade di San Pietro a Patierno e Secondigliano. Del resto, come affermavano in alcune conversazioni intercettate, loro stavano «qua da vent’anni» e “a livello di cocaina” non ce n’era per nessuno. La paranza di narcotrafficanti capeggiata da Salvatore Romano, alias “Totore Marlboro”, dopo la retata in cui è incappata a novembre scorso, va alla sbarra per la conclusione del processo di primo grado e le sorprese non si sono fatte attendere. Per i capi della gang a gestione familiare l’accusa associativa ha retto, ma non quella di aver agevolato il clan della Vanella Grassi. Ne sono venute fuori cinque condanne in alcuni casi al di sotto delle aspettative della procura. Il gup ha condannato Salvatore Romano a 15 anni di reclusione, mentre il figlio Daniele Romano ha rimediato 14 anni. Per loro il pubblico ministero in sede di requisitoria aveva chiesto 20 anni di carcere a testa. Antonio Russo, difeso dall’avvocato Luca Mottola, se l’è cavata con 10 anni e 6 mesi in continuazione con altra sentenza: per lui la procura aveva chiesto 11 anni e 8 mesi “secchi”. Condanna al ribasso per l’altra figura chiave dell’organizzazione, Giuseppina Esposito, difesa dagli avvocati Mottola e Leopoldo Perone, che a fronte di una richiesta di condanna a 19 anni è riuscita a cavarsela con una pena di 4 anni e 2 mesi grazie all’esclusione dell’accusa associativa. Cristofaro Alfano ha invece rimediato 10 anni e 6 mesi in continuazione. A gestire la fruttuosa piazza di spaccio di San Pietro a Patierno era un gruppo a conduzione semi familiare: marito, moglie, figlio e cinque estranei con a capo Salvatore Romano detto “Totore Marlboro”, in passato conosciuto come contrabbandiere di sigarette. Sei mesi di indagini della polizia, coordinate dalla Dda, sono bastati per incastrarli ricostruendo nomi e ruoli dei partecipi dell’organizzazione. Tutti rispondevano di associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope aggravata dalle condizioni previste dall’articolo 416 bis del codice penale, per aver agevolato il clan della Vanella Grassi: secondo l’accusa, al clan era destinata una quota dei proventi dell’attività illeciti. In manette erano così finiti Salvatore Romano, la moglie Giuseppina Esposito, il loro figlio Daniele Romano, Antonio Russo e Cristofaro Alfano. Gli investigatori partenopei ritengono che il volume d’affari della piazza di spaccio mobile si aggirasse intorno al mezzo milione di euro all’anno. Ipotesi che sembrerebbe confermata dalla perquisizione domiciliare a casa dei Romano: al padre furono sequestrati 15mila euro in contanti, al figlio 5mila. Il gruppo si era organizzato alla grande, funzionando come un delivery: un addetto alla ricezione degli ordini rispondeva al telefono, mentre i “rider” provvedevano poi a fornire la droga richiesta a domicilio, esclusivamente cocaina. Il tragitto variava tra Secondigliano, San Carlo all’Arena, Vasto, Arenaccia, Poggioreale, fino ai comuni di Casoria e Casavatore.
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