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Omicidio Giaccio, 30 anni a testa per i due mandanti

Innocente ucciso e sciolto nell’acido, condannati Nappi e Cammarota: 10 anni al pentito Perrone

omicidio giaccio, condannati i mandanti

Nelle foto la vittima Giulio Giaccio, Carlo Nappi e Salvatore Cammarota

NAPOLI. Ucciso per un maledetto scambio di persona e sciolto nell’acido, inizia a chiudersi il cerchio giudiziario intorno ai killer dell’innocente Giulio Giaccio (nella foto a sinistra). Ieri pomeriggio si è concluso il processo di primo grado, celebrato con la formula del rito abbreviato, a carico di Carlo Nappi (nella foto al centro) e Salvatore Cammarota (nella foto a destra), esponenti apicali del clan Polverino accusati di essere stati i mandanti del delitto. I due ras sono stati condannati a 30 anni di carcere a testa, mentre il collaboratore di giustizia Roberto Perrone ha rimediato 10 anni. Per lo stesso omicidio sono indagati in un altro filone Salvatore Simioli, Raffaele D’Alterio e Luigi De Cristofaro: per loro il processo di primo grado deve però ancora iniziare. Le indagini sull’atroce delitto erano arrivate a una svolta nell’agosto 2022, quando Cammarota e Nappi, già detenuti, ricevettero la nuova ordinanza di custodia cautelare. Entrambi sono ritenuti responsabili della morte violenta del 26enne Giulio Giaccio, scomparso da Pianura il 30 luglio 2000. Sul movente è emerso che Cammarota voleva punire assolutamente tale “Salvatore” per la relazione sentimentale con la sorella, che evidentemente proprio non gli andava a genio. Gli inquirenti, attraverso le dichiarazioni di quattro pentiti e i dati acquisiti nel corso degli accertamenti di quell’epoca, hanno ricostruito lo scenario e la dinamica del terribile evento. Giaccio fu costretto a salire in una Fiat “Uno” rossa mentre si trovava in compagnia di un amico che subito avvisò i familiari dell’operaio edile. Partirono le telefonate alle forze dell’ordine, ma nessuno sapeva niente e il giorno dopo al commissariato San Paolo il testimone presentò una denuncia. Specificò però che non sarebbe stato in grado di riconoscere i due finti poliziotti che indossavano la pettorina, circostanza sicuramente vera, e ciò probabilmente gli salvò la vita perché alcuni giorni dopo il clan lo identificò e un emissario si informò sulle sue dichiarazioni alla polizia. A raccontare ciò che sapevano ai pm antimafia sono stati Roberto Perrone, reo confesso, Biagio Di Lanno, Gaetano D’Ausilio e Giuseppe Simioli, ultimo a passare dalla parte dello Stato. Determinanti sono state però soprattutto le dichiarazioni del primo, che ha fornito elementi riscontrabili alla base del provvedimento restrittivo ed eseguito dagli investigatori. A marzo scorso, grazie al neo pentito Giuseppe Ruggiero, ex affiliato di spicco al gruppo di Marano, sono poi finiti in carcere Raffaele D’Alterio, Luigi De Cristofaro “’o mellone” e Salvatore Simioli “’o sciacallo”. Secondo l’accusa il primo avrebbe sparato alla testa del giovane sequestrato dai malviventi fintisi poliziotti con gli altri due a bordo dell’auto rubata. Con loro c’era anche Roberto Perrone, altro collaboratore di giustizia, reo confesso. La sfortuna nera di assomigliare a un coetaneo che frequentava la sorella di un ras del clan Polverino costò la vita a Giulio Giaccio, scomparso il 30 luglio 2000, il cui corpo fu sciolto nell’acido. Cammarota era contrario alla relazione e avrebbe ordinato il delitto: un movente e una dinamica incredibili, tanto più che i sicari cercavano un tale “Salvatore” e furono tratti in errore dall’informazione di un amico, anch’egli vicino al clan.

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