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Camorra
09 Ottobre 2024 - 11:07
Nei riquadri il defunto Patrizio Reale e gli imputati Salvatore D’Amico, Luigi D’Amico, Ciro Ciriello e Armando De Maio
NAPOLI. Dopo la stangata rimediata lo scorso anno, con ben quattro ergastoli inflitti a carico di mandanti e sicari, i presunti responsabili dell’omicidio del boss Patrizio Reale, alias “Patriziotto”, provano a limitare i danni. Ieri mattina è iniziato il processo che si sta celebrando in Corte di assise di appello e boss e gregari del clan D’Amico-Mazzarella hanno a sorpresa deciso di ammettere gli addebiti.
Confessioni al fotofinish, dunque, per Salvatore D’Amico “’o pirata”, Luigi D’Amico, Armando De Maio e Ciro Ciriello (difesi dagli avvocati Leopoldo Perone, Giuseppe Perfetto, Domenico Dello Iacono e Sergio Lino Morra), che sperano così di vedersi cancellare la condanna al carcere a vita incassa a maggio 2024. La sentenza di appello è attesa per la fine del mese. Umberto D’Amico, collaboratore di giustizia e principale accusatore nell’inchiesta, se l’era invece cavata con 12 anni di reclusione.
Il giudice di primo grado aveva però deciso di applicare la pena massima ai presunti responsabili dell’omicidio di Patrizio Reale. A nulla è servita, nel caso di Luigi D’Amico, la confessione resa già a gennaio, quando il ras del rione Villa ha non soltanto ammesso le proprie responsabilità, confermando di essere stato il mandante dell’agguato, ma si è anche dissociato pubblicamente dai propri trascorsi criminali.
Nei mesi successivi, invece, era definitivamente uscito dall’indagine Gennaro D’Amico, anch’egli accusato di aver avuto un ruolo nel delitto, ma scagionato dopo poche settimane dal tribunale del Riesame, che aveva annullato il provvedimento di custodia cautelare emesso a suo carico.
L’omicidio di Reale e il ferimento di Giovanni Nocerino avvennero l’11 ottobre del 2009 (il boss morì il giorno successivo) e a maggio 2022, dopo quasi tredici anni, i responsabili del raid erano stati finalmente catturati. La svolta era arrivata grazie al pentimento eccellente del ras e killer Umberto D’Amico “’o lione”, il quale aveva dato ulteriore riscontro alle precedenti ricostruzioni del collaboratore di giustizia Vincenzo Battaglia, ex sicario del clan Formicola che già nel 2012 aveva parlato del delitto Reale.
L’agguato mortale ai danni di “Patriziotto” arrivò come un fulmine a ciel sereno durante la - seppur breve - tregua tra i clan di San Giovanni. «Ho commesso l’omicidio - ha messo a verbale Umberto D’Amico - con il ruolo di staffetta nel 2009. I mandanti sono mio padre Luigi, i miei zii Salvatore e Gennaro.
Esecutori materiali Gesualdo Sartori (anch’egli poi scagionato dall’accusa, ndr) e Armando De Maio. Ciro Ciriello ha fatto da staffetta con me mentre a sparare è stato Armando. Il motorino lo abbiamo bruciato a Marigliano. La pistola l’ho buttata giù alla marina, dove sta porto Fiorito: era una 38 special. Io ero sulla mia macchina, una “Classe B”, insieme a Ciro Ciriello».
In merito al movente, “’o lione” ha invece rivelato: «Avevamo saputo che Patrizio Reale ci voleva uccidere e che spacciava in casa». Un sospetto che di lì a breve e dopo alcuni sopralluoghi mirati divenne certezza e così scattò l’agguato.
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