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Il processo

Poliziotto ucciso in gioielleria, trent’anni al secondo bandito

La figlia del sovrintendente-eroe: «Verdetto che ci ridà un minimo di pace»

Poliziotto ucciso in gioielleria, trent’anni al secondo bandito

Nei riquadri la vittima, il sovrintendente Domenico Attianese, e l’imputato Giovanni Rendina

NAPOLI. Omicidio del poliziotto eroe, nessuno sconto per il presunto killer. Il gup Rosamaria De Lellis ha condannato ieri mattina a 30 anni di reclusione Giovanni Rendina, ritenuto responsabile, insieme al complice Salvatore Allard già condannato alla stessa pena, dell’omicidio volontario pluriaggravato del sovrintendente Domenico Attianese, assassinato quasi 38 anni - il 4 dicembre 1986 - fa mentre tentava di sventare una rapina alla gioielleria Romanelli, nel quartiere Pianura.

La condanna di Rendina - giunta al termine di un processo celebrato con il rito abbreviato - era slittata rispetto a quella di Allard (a cui la pena è stata inflitta lo scorso 23 luglio) a causa dell’assenza dalle udienza dell’imputato determinata dal suo stato di salute. Accolte dal giudice le richieste della procura (pubblico ministero Maurizio De Marco) che aveva chiesto 30 anni di carcere per entrambi gli imputati.

Per Rendina è stata disposta dal giudice, su richiesta del suo legale, una perizia psichiatrica che l’ha dichiarato capace di intendere e di volere all’epoca dei fatti e anche capace di sostenere il giudizio. «Giustizia è fatta - ha dichiarato commossa dopo la sentenza Carla Attianese, la figlia del poliziotto ucciso - Attendiamo con fiducia i successivi gradi di giudizio ma, nel frattempo, questa sentenza ci restituisce un minimo di serenità».

«Si tratta di una decisione - ha aggiunto Carla Attianese - che non è importante solo per la famiglia ma per tutta la società». La figlia di Domenico Attianese ha anche voluto ringraziare i colleghi del padre «che oggi sono venuti in aula», il procuratore capo Nicola Gratteri ,il pm Maurizio De Marco e il suo legale, l’avvocato Gianmario Siani «che mi è stato accanto e col il quale siamo uniti da simili storie familiari». Gianmario Siani, avvocato di parte civile, è infatti il nipote di Giancarlo Siani, il cronista del “Mattino” ucciso dalla camorra nel 1985.

I rapinatori si erano introdotti all’interno della gioielleria Romanelli, a Pianura, e, dopo aver bloccato i titolari sotto la minaccia delle armi, avevano iniziato il saccheggio dei preziosi. Mentre la rapina era in corso, nella gioielleria giunse una figlia della vittima, all’epoca dei fati quattordicenne: resasi conto di ciò che stava avvenendo, chiamò il padre che era a casa, a pochi metri dal negozio.

Attianese intervenne al fine di sventare la rapina, ma, dopo una violenta colluttazione con i malviventi, venne dapprima disarmato e poi ferito mortalmente con un colpo d’arma da fuoco alla testa. L’omicidio era stato già oggetto di un procedimento penale dinanzi alla Corte di Assise di Napoli, conclusosi nel 1996, nel quale gli imputati, ai quali erano stati contestati i fatti, furono assolti.

La nuova analisi delle prove scientifiche aveva però consentito di acquisire gravi elementi di reità a carico delle due persone arrestate, già gravate da plurimi precedenti penali per reati di rapina, lesioni personali e porto e detenzione illegali di armi da fuoco. Ad oggi mancherebbe però ancora all’appello il terzo uomo del commando.

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