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Messa in latino

Divieto del rito antico a Napoli: primo round tra Curia e fedeli

Al convegno d'invito al dialogo, la chiusura della Diocesi e l'invito di don Bux a rivedere la decisione

Divieto del rito antico a Napoli: primo round tra Curia e fedeli

Monsignor Longobardo e, a destra, monsignor Nicola Bux

NAPOLI. «Invito gli ecclesiastici a mettersi nei panni del comune fedele e a considerarlo non banalmente come un consumatore di sacramenti che crede in Dio e va a messa la domenica. Dal 1970 in poi, il comune fedele ha subito una sorta di “doccia scozzese” avvilente: ha visto prima proibire la messa tradizionale in latino, poi liberalizzare e poi restringere la possibilità di partecipare a quella liturgia che gli era cara prima, quella dell’infanzia» il professor Guido Vignelli, ha aperto con questa riflessione il “dialogo” che si è svolto sulle difficoltà che a Napoli i fedeli del rito antico stanno attraversando a causa delle restrizioni imposte nella Diocesi partenopea ai sacerdoti che celebrano questa liturgia.

L’occasione per dialogare con la Curia, grazie alla partecipazione di Monsignor Nicola Longobardo, direttore dell’Ufficio Liturgico della Diocesi di Napoli, è stato l’incontro organizzato dai fedeli della Messa in latino sull’applicazione del Motu proprio Traditionis Custodes da parte dell’Arcivescovo, Cardinale nominato Domenico Battaglia. Al tavolo dei relatori anche il teologo don Nicola Bux.

Il convegno ha fatto emergere una profonda frustrazione dei fedeli che, da circa 30 anni, si sono affidati a sacerdoti generosi che hanno a cuore questo popolo di credenti e a loro hanno dedicato ogni energia per accoglierli e riunirli nella preghiera del rito della tradizione di cui sono diventati custodi e cultori.

«Oggi – ha ricordato Vignelli – vediamo che la Chiesa accoglie un ipotetico rito amazzonico, approvando una messa in rito maya, adattato gli usi e consumi degli antichi riti del popolo Maya, del Sud del Messico, di cui non esistono quasi più discendenti ma che attrae curiosi e fedeli con desideri di religioni esotiche e di frequentazioni turistica».

Ma per il Vetus Ordo, incomprensibilmente, c’è uno sbarramento che a Napoli è diventato prigionia per i fedeli che lo praticano, obbligati dalla Curia a poterlo celebrare solo se officiato dai sacerdoti francesi che appartengono all’ Istituto di Cristo Re.

Monsignor Longobardo, qual è il vero motivo che ha indotto monsignor Battaglia a vietare le messe in latino celebrate dai sacerdoti che non appartengono all’istituto francese?

«Per i fedeli, a Napoli ci sono i luoghi dove celebrare la Messa in Latino. Il Vescovo Diocesano deve autorizzare dei sacerdoti per la celebrazione. Nel nostro caso, l’Arcivescovo di Napoli ha chiesto ai sacerdoti dell’Istituto di Cristo Re di celebrare in questo momento. Poiché l’Arcivescovo ha ritenuto che non avessimo in Diocesi sacerdoti idonei per questo ufficio, non ritiene opportuno affidare questo ufficio ad altri. ,E per il momento, ha chiesto a costoro di occuparsene. Ma non è detto che, un domani, qualora ci fossero sacerdoti idonei…».

Quindi, occorre stabilire quali sono le linee di “idoneità” richieste ai sacerdoti che celebrano da anni la messa in latino?

«Noi non possiamo entrare negli elementi di discernimento di un Vescovo. Io non posso chiedere all’Arcivescovo perché ha fatto certe scelte. Può darsi che egli abbia dei motivi, che però non è tenuto a dirmi. Quindi, attenzione, il rito antico non è di esclusiva celebrazione dei sacerdoti dell’Istituto Cristo Re, assolutamente no. Attualmente (scandisce sillabando questa parola monsignor Longobardo, ndr) l’Arcivescovo ha identificato “quei preti” quelli idonei a questo ufficio. Ma non è detto che un domani non possano essere altri. Assolutamente».

Si apre dunque una speranza per il futuro?

«Assolutamente sì».

Per i preti che sono stati già autorizzati per il passato?

«Per quelli, l’Arcivescovo ha ritenuto che non debbano celebrare questo ufficio».

Eppure si parla tanto di “Chiesa sinodale”, e oltre ai sacerdoti che celebravano la messa in latino. E anche i fedeli che erano a loro affidati sono stati emarginati, al punto che l’Arcivescovo Battaglia, non li vuole ricevere. Con loro non dialoga, persino una petizione con 250 firme non hanno potuto consegnarla di persona. Insomma, l’ Arcivescovo non risponde ai laici. Perché?

«Intanto, la mia presenza sicuramente dice: tanta disponibilità. E anche una richiesta di un po’ di pazienza».

Eppure, lei che ha rilevato la passione e la preparazione dei fedeli che richiedono di poter continuare ad affidarsi ai sacerdoti che da tempo celebrano la Messa in latino, ha risposto loro di attenersi alla virtù dell’obbedienza. Sembra una stroncatura. Un diktat che esclude ogni dialogo possibile.

«La richiesta di obbedienza è anche quella di un atto di umiltà che ti fa poi crescere nella comunione, nell’amicizia, nell’affetto. Obbedienza e umiltà sono i principi di fondo richiesti».

Parole di apertura ma che confliggono con una contemporanea, attuale, chiusura che porrebbero qualsiasi persona sana di mente in un cortocircuito di ragionamenti incomprensibili e tendenti al pessimismo rispetto al dialogo invocato dai Coetus Fidelium (San Gaetano e Sant’Andrea Avellino; San Ferdinando; Santa Maria della Vittoria) che durante l’incontro hanno raccontato storie di obbedienza e di persecuzione di cui – sembra – proprio ora sono vittime.

Una ricucitura, con garbo e fiducia nell’amicizia e nell’umiltà invocata da monsignor Longobardo, a nome della Curia di Napoli, è quella che ha tentato don Nicola Bux, chiudendo tra gli applausi il convegno tenutosi all’hotel Renaissance Mediterraneo di Napoli.

Il teologo, già amico e consigliere di Papa Benedetto XVI, ha esortato tutti ad affrontare con serenità e benevolenza questo momento, per «aprirsi al dialogo ed evitare chiusure, contrapposizioni», rivolgendo a Monsignor Longobardo un appello all’«ascolto dei fedeli, attraverso i quali parla lo Spirito Santo».

«Papa Benedetto - ha raccontato don Bux – girando nel mondo, aveva notato quanto la Messa in latino si stesse diffondendo. Riconoscendo il fenomeno in atto, e ha dovuto rivedere le cose».

«Monsignore – ha esortato il teologo rivolto a Longobardo – facciamo in modo di esercitare la nostra moral suasion con Sua Eccellenza, presto Eminenza, per rivedere meglio la nostra realtà che è profetica: dobbiamo cogliere i segni dei tempi».

E, infine, rivolto ai fedeli in platea, ha detto: «Monsignor Longobardo ha invitato a essere umili e obbedienti riferendosi ai nostri sacerdoti ai quali dico: i grandi santi, tutti, sono stati perseguitati, anche San Giovanni Bosco lo fu. Invito tutti noi, pertanto a essere umili, con l’atteggiamento di Gesù di fronte a quelli che, all’epoca, erano i suoi “superiori”. Dò atto a tutti voi di aver detto la verità. Ma vi esorto a non fare processi alle autorità ecclesiastiche che hanno bisogno di meditare. Benevolenza e intermediazione è il metodo. Sua Eccellenza, monsignor Battaglia è molto attento alla società. Sosteniamo il Vescovo che ora diventa Cardinale. E auspicherei che un giorno non lontano riceva tutte le persone, per ascoltare, conoscere, modulare».

Infine, scherzosamente ma con un fondo di serietà, don Bux ha chiesto a monsignor Longobardo: «Ho un quesito: ma i preti che c’erano, dove stanno? Interroghiamoci su questo. Abbiamo noi sacerdoti che sappiano celebrare? Sì. Allora presentiamoli al Vescovo».

 

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