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Il caso

Napoli, medici di famiglia: noi sottostimati e sottopagati

Un professionista su due supera i massimali di assegnazione, ma i neo laureati non scelgono più questo settore

Napoli, medici di famiglia: noi sottostimati e sottopagati

NAPOLI. A Napoli mancano circa 36 medici di famiglia e in Campania un medico su due supera il massimale degli assistiti. L’ultimo report della Asl Na1 fotografa una situazione allarmante circa la carenza di medici di base nel capoluogo partenopeo. Ogni Distretto sanitario conta circa 55 medici ma le zone maggiormente scoperte sono quelle periferiche comprese nei distretti 26 e 28. In alcuni territori come Scampia «è complicato trovare locali commerciali da adibire a studi medici.

I camici bianchi possono aprire uno studio in tutto il perimetro della municipalità che è molto vasto», spiega il consigliere comunale Gennaro Acampora. Ciò si traduce spesso in cittadini che, pur avendo formalmente un medico di base, lo conoscono a stento e vi si recano raramente a causa della lontananza. Alcuni cittadini della X municipalità abitanti a Capodimonte hanno il loro medico ai Ponti Rossi e ciò rende impossibile ai pazienti – soprattutto a quelli anziani e non automuniti – farsi visitare all’occorrenza.

Il rapporto medico-paziente viene quindi forzatamente relegato ai dispositivi elettronici mediante i quali i pazienti richiedono ricette e i dottori gliele inviano. «Più che medici, ormai, siamo burocrati», afferma Antonio V., giovane medico di famiglia napoletano. Nell’immaginario comune, un medico di famiglia dovrebbe conoscere a menadito la storia clinica dei propri pazienti, recarsi nelle loro abitazioni e, addirittura, ricordarne i nomi. Ciò differisce profondamente dalla realtà odierna, soprattutto a causa della mole di lavoro che un medico di base è tenuto a svolgere che poco si confà alla professione e che la rende, per estensione, poco attraente».

Più medici hanno infatti rilevato che il tempo impiegato a redigere certificati di malattia o per la prescrizione dei farmaci è maggiore di quello che impiegano ad auscultare polmoni. Con più di 1.500 pazienti, la capacità per un medico di dare l’adeguata assistenza a tutti si riduce all’osso. I medici di base sono l’avamposto della salute e, quando non riescono a garantire la loro presenza agli assistiti, questi ultimi si riversano nei pronto soccorso affollandoli.

«È un cane che si morde la coda. Se il cittadino non ha contatti col medico di base è più propenso a recarsi al pronto soccorso in caso di malanni perché si spaventa.» afferma Gennaro Acampora, il quale insiste sull’importanza della prevenzione. La situazione è destinata a peggiorare perché sono sempre meno i camici bianchi che vogliono dedicarsi alla medicina generale e i motivi sono diversi. Innanzitutto, per diventare un medico di base i neolaureati devono seguire dei corsi triennali di formazione specifica in medicina generale organizzati dalle singole regioni e a cui si accede mediante concorso.

La borsa a cui hanno accesso i futuri medici di famiglia rasenta gli 800 euro, circa 600 euro in meno rispetto alle borse di altre specializzazioni. Inoltre, i medici di base non sono dipendenti della Asl bensì liberi professionisti in partita Iva. «I ritmi di questo lavoro spaventano i neolaureati. Quando andiamo in ferie nominiamo a nostre spese un sostituto. I guadagni non sono proporzionati al carico di lavoro e per questo molti colleghi percorrono altre strade nel pubblico o nel privato.» spiega ancora il dottor Antonio V. Lo stress la fa da padrone in questo lavoro.

La dottoressa Anna Limo - medico di base da dodici anni - ha asserito di essere stata colpita da burnout durante il periodo Covid-19: «Ero subissata da chiamate. Effettuavo visite domiciliari dalla mattina alla sera e non era facile trasmettere serenità perché neanche noi sapevamo cosa sarebbe accaduto. I pazienti impauriti mi chiamavano anche di notte e rispondergli era un dovere morale anche se a risentirne è stata la mia salute.».

Infine, tra le ragioni che rendono poco allettante la professione, si può annoverare un aspetto sociale interessante ma – forse per un tema di falso buonismo, poco dibattuto: i medici generalisti vengono spesso snobbati dalla collettività che li considera poco preparati rispetto agli specialisti. Ciò rende poco gratificante la professione per l’essere umano prima ancora che per il medico e fomenta il dibattito sul diritto alla salute che protende sempre più verso la privatizzazione.

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