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Il caso
26 Novembre 2024 - 08:22
Nella foto i danni causati dal tremendo scoppio; nel riquadro il capozona Antonio Lago
NAPOLI. Nonostante l’assedio dello Stato, sembra proprio non esserci pace per il martoriato quartiere Pianura. Poche ore prima del blitz con cui ieri mattina la polizia ha disarticolato la cosca capeggiata da Emanuele Marsicano, un commando ha piazzato un ordigno ad alto potenziale in via Nabucco, davanti l’ingresso del palazzo in cui vive il ras Antonio Lago.
Pesantissima la conta dei danni, con l’androne dello stabile completamente distrutto. Per fortuna, vista la tarda ora, nessuno si è fatto male. La bomba, tanto potente da mandare completamente in frantumi il portone dell’edificio di via Nabucco, è deflagrata intorno alle undici di domenica sera. Per fortuna lo scoppio non ha provocato feriti.
Secondo quanto si è appreso, è lì che vive il 47enne ritenuto il reggente del clan. Si tratta del nipote del defunto capoclan Pietro Lago “’o ciore”, morto dopo anni di detenzione al carcere duro e condannato per gli omicidi della faida degli anni Duemila contro i Marfella.
Sull’accaduto sono in corso le indagini degli investigatori del commissariato Pianura, che stanno anche cercando di capire se in zona sia presente qualche telecamera che abbia ripreso il momento dell’attentato.
Antonio Lago già lo scorso anno era finito nel mirino e dopo qualche tempo, a ottobre scorso, furono arrestati i presunti responsabili dell’agguato, alcuni dei quali figurano anche tra gli indagati arrestati ieri mattina.
«Doveva fare sparare me», si fece scappare Beniamino Ambra nel corso di una telefonata intercettata dalla polizia. Aggiungendo che “Carminiello”, identificato per Carmine Milucci, aveva commesso un grosso errore.
La conversazione rappresenta uno degli indizi a carico degli indagati per il duplice omicidio Lago-Marcello e combaciava con quanto affermato da un altro dei cinque arrestati, Emanuele Bruno, parlando con una donna: «Carmine non l’ha ucciso, l’ha preso solo a una coscia mentre “’o magone” diceva “non spararmi più”. Ora loro sanno che siamo stati noi e siamo in guerra. Hai capito che guaio ha fatto?».
«A zì, come si è sempre detto, ’o meglio pesce in mano... È quando lo fai con le mani tue», rispose la misteriosa interlocutrice. Si scoprivano circostanze interessanti leggendo il decreto di fermo a carico di Patrizio Cuffaro, Emanuele Bruno (ritenuti gli organizzatori dell’agguato mirato a uccidere Antonio Lago ed Emanuele Marcello), Carmine Milucci, Beniamino Ambra e Antonio Campagna, presunti esecutori materiali. Quest’ultimo conosceva “’o magone”, che nel letto d’ospedale recriminava contro di lui indicandolo con il soprannome: «Sasà, core mio... amore mio... mi è venuto addosso con lo scooter».
In effetti l’investimento faceva parte del piano perché quasi in contemporanea, il 29 agosto scorso in via Sartania a Pianura, entrarono in azione Ambra e Milucci, con il secondo che sparò. La ricostruzione del duplice tentato omicidio, attraverso cui è emerso che il gruppo Cuffaro-Marfella voleva eliminare il nipote degli storici boss Lago, era opera dei poliziotti della sezione Criminalità organizzata della Squadra mobile della questura, autori dell’indagine con il coordinamento della Dda. A distanza di poco più di un anno lo scoppio di via Nabucco ha però nuovamente gettato nel terrore il quartiere.
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