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12 Dicembre 2024 - 10:08
NAPOLI. A un anno di distanza dal maxi-blitz che ha azzerato l’ala imprenditoriale del clan Di Lauro, Raffaele Rispoli decide di gettare la spugna. Il 47enne, ritenuto dagli inquirenti uno dei ras del contrabbando a Secondigliano, noto anche per essere il fratello della vedova di camorra Tina Rispoli, dopo mesi di ininterrotta detenzione ha voluto dissociarsi dai propri trascorsi criminali. L’ha fatto con una missiva di due pagine, inviata nei giorni scorsi al giudice del rito abbreviato nel quale è imputato: «Oggi, ha scritto Rispoli dopo aver a lungo riflettuto, riconosco di avere avuto condotte illecite di cui non sono fiero e che non ripeterei, voglio pertanto dissociarmi dagli ambienti e contesti delinquenziali che ho in passato frequentato».
A questo punto è però doverosa una precisazione: Raffaele Rispoli ha, sì, messo un punto alla propria carriera criminale, ma non ha in alcun modo avviato un percorso di collaborazione con la giustizia, né ha lanciato accuse nei confronti dei suoi coimputati. Sul punto, Rispoli si è così espresso: «Ammetto le mie responsabilità in riferimento ai reati non associativi, fatta eccezione per quelli in materia di stupefacenti, attività illecita che benché riguardasse droga leggera, non mi ha mai visto in via mia partecipe, poiché contraria al mio modo di ragionare, in quanto pericolosa per la salute dei giovani».
Insomma, il presunto capozona delle Case Celesti non si riterrebbe un narcos, come ipotizzato invece dalla procura antimafia. Raffaele Rispoli ha poi fatto alcune puntualizzazioni in merito alla sua partecipazione al clan Di Lauro e in particolare al gruppo capeggiato da Vincenzo Di Lauro: «Non voglio e non posso negare che la mia attività di contrabbando di Tle si inseriva all’interno di un contesto associativo, sia pure rudimentale, benché articolato con compiti e ruoli per un sufficiente periodo temporale. Infatti la mia attività era certamente legata ad altri soggetti ma si sviluppava unicamente con riferimento al solo contrabbando di Tle e alla commercializzazione dello stesso, fino al punto di raggiungere la illecita produzione di Tle».
E ancora: «Non ho mai partecipata direttamente e indirettamente al settore del traffico di stupefacenti, alle attività del settore delle estorsioni, né tantomeno al reinvestimento delle somme provento di delitto in attività economiche attraverso la gestione di attività in settori imprenditoriali... Quanto al ruolo che mi viene attribuito, di essere organizzatore del clan Di Lauro, preciso che nessun ruolo di organizzatore e gestore ho mai ricoperto all’interno di questa compagine associativa. Io condividevo valutazioni di altri soggetti».
Parole che, seppur di riflesso, rischiano adesso di mettere nei guai proprio il presunto boss Vincenzo Di Lauro, difeso dall’avvocato Antonio Abet, che pochi giorni fa si era difeso in aula sostenendo di aver preso da tempo le distanze dai suoi fratelli e di essere un semplice imprenditore. Parole potenzialmente in conflitto con quanto adesso affermato invece da Rispoli.
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