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Ucciso e bruciato tra i campi, presi i complici del babykiller

Rizzo ed Equabile sono accusati di aver distrutto il cadavere di Gennaro Ramondino

Ucciso e bruciato tra i campi, presi i complici del babykiller

NAPOLI. «Mi fa piacere se vengo condannato. Ma se a me danno 5-6 anni, quello deve prendere l’ergastolo». Così Nunzio Rizzo, ignaro delle microspie, si rivolse allo zio di Gennaro Ramondino nel raccontargli quanto aveva visto in quella tragica notte del 1 settembre scorso in via Comunale Napoli, a Pianura, dove nello scantinato adibito a piazza di spaccio fu ucciso per divergenze sulla vendita dello stupefacente il 20enne di Fuorigrotta. «Genny non meritava di fare quella fine», concluse il 30enne salutando e abbracciando l’interlocutore.

Ma per la procura antimafia e il gip lui e l’amico Paolo Equabile, entrambi estranei all’esecuzione dell’omicidio e anzi sorpresi dall’azione di fuoco, avrebbero partecipato consapevolmente e senza essere costretti alla fase del trasporto del cadavere culminata nell’incendio, appiccato in località Torre Poerio da Domenico Di Napoli, in carcere per favoreggiamento e distruzione del cadavere. Nell’inchiesta sono spuntati altri quattro indagati, che ruotavano tutti intorno alla piazza di spaccio. Ma mentre per Cristian Cacace e Luciano Ivone il gip ha rigettato la richiesta di arresto, da martedì Paolo Equabile e Nunzio Rizzo si trovano in carcere perché gravemente indiziati per concorso nella distruzione del corpo di Gennaro Ramondino con l’aggravante del metodo mafioso, dopo che il 20enne era stato ucciso dal 16enne del rione Traiano P.I. con la pistola prelevata dall’appartamento di Domenico Di Napoli, all’insaputa di quest’ultimo secondo la versione fornita alla polizia.

Ma sulla ricostruzione del delitto non tutti i racconti (il ragazzo avrebbe raccontato cose diverse pur ammettendo l’addebito) e bisognerà attendere il processo per chiarire gli ultimi dettagli. Comunque, ferma restando per tutti la presunzione d’innocenza fino all’eventuale condanna definitiva, unico indagato per omicidio è il minorenne; gli altri si sarebbero adoperati per far sparire il cadavere, bruciandolo con la Panda di “Genny”. Cacace (detto “Capellone”) e Ivone (“Ciù ciù”) avrebbero avuto un ruolo minore: il primo comprando la benzina e l’altro pulendo il locale in cui era stato commesso il delitto.

Le indagini, coordinate dalla procura antimafia e culminate nell’ordinanza a carico di Equabile e Rizzo, sono state compiute dai poliziotti della sezione “Criminalità organizzata” della Squadra mobile della questura (dirigente Giovanni Leuci, vice questore Giuseppe Sasso). Gli investigatori hanno fatto terra bruciata intorno agli indagati, partendo dalla testimonianza del proprietario di una Toyota, utilizzata per recarsi nelle campagne e cancellare ogni traccia. L’uomo ha accontato di aver prestato l’auto a Domenico Di Napoli e di aver notato, quando gli fu restituita, che c’era odore di benzina.

Alla domanda come mai, l’amico gli aveva risposto in modo vago. «Dissi a Mimmo che non volevo essere coinvolto in nessun guaio. Lui mi rispose: dammi la macchina e me la vedo io. Il giorno dopo mi riportò le chiavi, raccomandandomi di fare denuncia di furto».

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