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Di Napoli: «Ecco i componenti del clan»

Le prime dichiarazioni del neo-pentito “Mimmo” sugli affiliati al clan Marsicano

Di Napoli: «Ecco i componenti del clan»

Domenico Di Napoli e Gennaro Ramondino

NAPOLI. Ha cominciato con il piede sull’acceleratore Domenico Di Napoli, neo collaboratore di giustizia di Pianura salito alla ribalta della cronaca il mese scorso per il suo coinvolgimento nell’omicidio di Gennaro Ramondino. Non è indagato per aver partecipato al fatto di sangue, avvenuto nello scantinato adibito a piazza di spaccio che gestiva, ma per aver trasportato in aperta campagna e bruciato il corpo di “Genny”. Nella prima giornata da collaboratore di giustizia “Mimmo” ha tracciato il profilo degli affiliati al clan Marsicano, tirando in ballo anche se stesso e il ras Massimiliano Santagata (estraneo alle ultime vicende accadute nel quartiere in quanto già detenuto). Ecco alcuni passaggi delle sue dichiarazioni, a parte quelle di cui abbiamo già scritto sull’edizione di ieri del nostro giornale, precisando che le persone citate devono essere ritenute estranee ai fatti narrati fino a prova contraria.

LE DICHIARAZIONI DEL COLLABORATORE DI GIUSTIZIA SU LUCA BATTISTA. «Luca Battista, dopo gli arresti ai danni del clan Esposito-Calone-Marsicano, continuò ad operare insieme a Carlo Pulicati, Massimiliano Santagata, Antonio Gaetano (poi ucciso a Mergellina, ndr), Francesco Marfella detto “Marfellino” e Cristian Titas. Di Vitale Luongo alias “o’ nirone”, che riconosco in foto, so che detiene una piazza di spaccio, per la quale paga settimanalmente il clan che di volta in volta comanda a Pianura. Spesso l’ho incontrato nel bunker di Carlo Esposito dal quale acquistava sostanza stupefacente, cocaina, e credo che pagasse anche l’estorsione al clan. Ricordo che a volte è venuto anche da me per comprare la droga, lamentandosi che Carlo Esposito gli faceva un prezzo molto alto e io di nascosto l’ho sempre favorito. Dopo che Carlo Esposito ed Emanuele Marsicano andarono in carcere, lui venne a casa mia mentre ero agli arresti domiciliari e mi disse che era stato malmenato da Patrizio Cuffaro, che pretendeva da lui la quota della piazza di spaccio. Nell’occasione mi mostrò un anello in oro a forma di rosario da cui si erano staccati dei brillantini. Il gioiello, mi riferì, era di Cuffaro che nello schiaffeggiarlo li aveva persi e pretendeva che lui glielo aggiustasse».

IL RUOLO DI PULICATI NELL’AMBITO DELLA COSCA. «Carlo Pulicati - ha continuato il pentito nell’interrogatorio del 5 dicembre scorso -, già dal 2020 faceva parte del clan Calone-Esposito-Marsicano, ritirava le quote delle piazze di spaccio, partecipava alle “stese” di cui unitamente a Fabio Minopoli ed Emanuele Marsicano. Fu contro Umberto Loffredo, che ne aveva fatta una contro Marsicano. Carlo Pulicati aveva sempre un’arma con sé. So che si occupava anche di estorsioni, ma su questo non ho altri particolari. Nell’ultimo periodo, quando io ero libero e lui stava ai domiciliari, abbiamo avuto vari diverbi perché accusava me e Santagata di essere dei voltabandiera perché ci eravamo allontanati dal clan Marsicano-Esposito-Calone. Altro episodio che ricordo: chiese soldi al gestore di una piazza di spaccio, che mi contattò una domenica mentre ero in piscina con la famiglia. Gli telefonai dicendogli che lui stava lontano e non doveva comportarsi così e che se aveva bisogno di soldi, glieli avrei dati io».

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