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L'iniziativa

«Ci avete rotto Napoli»... e non si ripara più

Le associazioni si rimboccano le maniche: «Siamo a zero: violenza, camorra ed emergenza educativa»

«Ci avete rotto Napoli»... e non si ripara più

Un momento dell'inziativa

NAPOLI. «Siamo tutti d’accordo che il Comune dovrebbe costituirsi parte civile nei processi di camorra, così come nessuno potrebbe obiettare l’idea di destinare il 3% del bilancio comunale all’emergenza educativa, o strutturare un piano per il contrasto alle dipendenze». Davide D’Errico, fondatore del “Vicolo della cultura” nel rione Sanità, ha lanciato la proposta durante l’evento intitolato “Ci avete rotto Napoli”, ideato con Antonio Quaranta, Cristina Somma, Salvatore Paternoster, Gaetano Loffredo, Rosanna Laudanno, Emanuele Papa, Gianfranco Succoio, tenutosi presso l’associazione Vico.

«È il momento - ha proseguito Davide - di lavorare insieme e stilare un manifesto di dieci punti sui temi che ci hanno portato a realizzare questa iniziativa». Quello che sta accadendo in città, l’accrescere della violenza tra i giovani, «non è solo colpa delle famiglie - afferma Salvatore Paternoster, presidente dell’associazione Giovani Promesse che si occupa di recupero giovani e inclusione sociale - è anche colpa della società, delle istituzioni che se ne fregano altamente di noi giovani, iniziando dalle istituzioni locali, dal sindaco di Napoli che non si è presentato all’insediamento del Forum dei Giovani del Comune di Napoli. Questo ci fa capire la considerazione che Manfredi ha dei giovani di Napoli».

Tra gli ospiti dell’iniziativa, Raffaele Criscuolo, un ragazzo che ha vissuto un’esperienza diretta con la criminalità e non ha timore a raccontarla. «Ho vissuto un forte disagio famigliare racconta Sono stato abbandonato da mio padre. Mia madre a 15 anni non riusciva a garantirci una sicurezza, per questo andammo a vivere con i miei nonni. I miei nonni preferivano mio fratello e questo mi creava disagio. Io, attraverso la violenza gratuita, volevo solo costruirmi una reputazione, essere ascoltato e notato. Il mio era un grido d’aiuto. Sono stato a Nisida, a Santa Maria Capua Vetere. Uscito da Nisida non mi sentivo pronto per rientrare in società, per questo sono tornato a delinquere e poi di nuovo in carcere. Dopo aver scontato quell’ultima pena ho incontrato la mia nuova compagna, una persona che per la prima volta ha creduto in me. È nato mio figlio, la mia vita è completamente cambiata».

Simona Capone, 17 anni, ha perso il suo fidanzato, Santo Romano, 19 anni, ucciso da un coetaneo per una scarpa pestata. È uno dei tre giovani uccisi in meno di due settimane, nel mese di novembre, da un coetaneo. «Provo rabbia verso le istituzioni-dice Simona,-Mi chiedo come sia possibile tutto questo, perché sembra che a nessuno importi. Com’è possibile che un pluripregiudicato che aveva già scontato una pena nel carcere di Nisida, sia uscito più incattivito di come sia entrato? In questo caso le istituzioni hanno fallito. L’omicidio di Santo poteva essere evitato, è stato un fallimento collettivo, della società».

La stessa esperienza traumatica è toccata a Giovanni Carniero, il migliore amico di Giogiò Cutolo, il musicista ucciso a 24 anni in piazza municipio un anno fa da un minorenne, per futili motivi. «Giogiò - spiega Giovanni - quella sera doveva venire al mio compleanno. Erano in sette, sono tornati a casa in sei».

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