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Camorra
17 Dicembre 2024 - 09:15
_ Nei riquadri il ras di San Giovanniello Alfredo De Feo e il rampollo Gaetano Ammendola, figlio del capozona “Peppe ’o guaglione”
NAPOLI. Passa la linea della procura e per il boss di San Giovanniello arriva una nuova stangata giudiziaria. Ieri pomeriggio si è concluso il processo di primo grado, scaturito da una scottante inchiesta su un giro di riciclaggio del clan Contini, e per il capozona Alfredo De Feo è arrivata una severa condanna a 14 anni di reclusione: la stessa pena richiesta ad aprile scorso dal pubblico ministero Ida Teresi in sede di requisitoria.
Pena leggermente più soft per il coimputato, il rampollo Gaetano Ammendola, figlio del ras Giuseppe Ammendola “”o guaglione”, che ha rimediato dal gip Bardi 10 anni e 8 mesi. Per lui la procura antimafia aveva chiesto invece 12 anni di reclusione. Il terzo imputato, l’imprenditore Vincenzo Madonna, aveva invece optato per il dibattimento. Il boss di San Giovanniello Alfredo De Feo, l’imprenditore Vincenzo Madonna e il rampollo Gaetano Ammendola erano finiti in arresto a fine giugno 2023.
Due dei tre imputati avevano poi scelto il rito abbreviato. Gli imputati erano a vario titolo accusati di associazione per delinquere di tipo mafioso per la loro partecipazione alle attività criminali del clan Contini, gruppo capofila dell’Alleanza di Secondigliano insieme ai Mallardo e ai Licciardi.
Al boss Alfredo De Feo, in particolare, venica contestato il ruolo di capo e promotore, in quanto avrebbe diretto il gruppo operativo di San Giovanniello dal 2016 al 2020, concordando e condividendo con i vertici, di cui sarebbe stato diretto referente, le linee strategiche del sodalizio su svariati ambiti, dal traffico di stupefacenti all’imposizione del racket, dalla gestione della cassa comune al reimpiego di capitali di provenienza illecita, ormai diventato il vero core business della cosca con base tra il Vasto, l’Arenaccia e San Carlo all’Arena.
L’imprenditore Vincenzo Madonna, storicamente legato alla famiglia Licciardi e poi ai Contini-Bosti, avrebbe invece rapidamente scalato le gerarchie della cosca grazie alla sua parentela con il boss Giuseppe Ammendola, alias “Peppe ’o guaglione”, referente del clan nella zona del Borgo Sant’Antonio Abate. A Madonna la Procura contestava l’impegno nella gestione delle attività di riciclaggio e reimpiego dei proventi dell’organizzazione attraverso il reinvestimento in attività di autolavaggio e autonoleggio dislocate nei pressi dell’aeroporto di Capodichino, ma anche in bar-pasticcerie e in attività di ristorazione.
Gaetano Ammendola avrebbe fatto invece da intermediario tra il padre Giuseppe Ammendola e Vincenzo Madonna, suo fiduciario, ma anche da garante dei rapporti tra il ras Alfredo De Feo, ritenuto dagli inquirenti il reggente del clan, e Madonna per la gestione delle attività a lui riconducibili. Ammendola sarebbe stato inoltre l’alter ego dal padre detenuto, gestendo quindi in prima persona i rapporti con gli altri esponenti della cosca e per la trasmissione di direttive di gestione del clan. Per il boss De Feo è così arrivata la condanna a 14 anni, Ammendola junior ha rimediato 10 anni e 8 mesi.
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