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Il lutto

Addio alla poetessa della solarità

Se ne va a 103 anni Miriam Urga: prestigiosa e delicata figura apprezzata da grandi scrittori

Addio alla poetessa della solarità

Aveva da tempo superato i cento anni, ma per Miriam Urga, poetessa, animatrice culturale con la passione sincera del mecenatismo, che significò promuovere e sostenere sul serio l’arte senz’altro tornaconto, non vi furono mai un limite o una pausa in questo intenso impegno vocazionale. Vissuto e onorato in un ampio arco del ’900, il secolo delle grandi tragedie e delle grandi conquiste e per una parte cospicua del terzo millennio della rivoluzione tecnologica e telematica. Nata a Napoli il 21 novembre del 1921 se n’è andata martedì scorso a 103 anni, lasciando nel dolore più profondo le figlie Giovanna, Giuliana, le amatissime nipote Miriam e Rossella, e una folta corte di amicizie. Che frequentava assiduamente la sua casa museo di Monte di Dio, ricca di cimeli, di originali testimonianze artistiche, con dediche particolari di personaggi famosi, di cui andava orgogliosa e teneva molto a raccontarne la storia, Bella, anche quando gli anni avanzavano, elegante, dolce, dotata di un’amabilità innata, seppe trasferire tutto questo, anche nei sui versi più severi, meritandosi giudizi lusinghieri di prestigiosi critici e scrittori, «Una poesia che è anche magia- scrisse di lei Luigi Compagnone e ne volle sottolineareuna magia che sta a significare il pieno possesso della cronaca come della storia, del reale e dell'irreale, della verità e del mistero, della moralità e della fantasia, del dissolversi delle cose e del tempo dell'immacolata memoria”. Dello stesso avviso anche Domenico Rea, il quale ne pose in risalto un particolare tratto identitario: «In Miriam Urga, la pregnanza della vita è così forte che, all'interno di ogni sua lirica, il dato più rilevante, il particolare che risalta sulle altre cose, è il dato realistico, direi popolare. Gli spunti di questo dono di grazia poetica sono infiniti, Anche quando canta la putrefazione dei sentimenti essa è trattata come una danza». “Rapsodia di mistero e di evidenza, nel contrappunto elegante ed elementare di parole, che si innalzano verso un cielo di purezza e di verità”, ha scritto qualche anno fa Francesco D’Episcopo, soffermandosi sulla originalità più cospicua della voce, che Myriam Urga fa echeggiare in un pianeta poetico contemporaneo, non sempre consapevole dei propri esperimenti, per la sua capacità di congiungere ragione e passione, sensi e sentimenti in una miscela verbale avida di esattezza, ma anche di una emotività, còlta nella sua entità biologica più vera. Il furore esplode quando questa fede, questa speranza in un mondo realmente migliore viene rimossa o disattesa da calcolati cinismi e compromessi, nella corsa affannosa verso un dispersivo consumismo dell’anima, che appanna ogni autentica richiesta della civiltà e della coscienza, Allora Napoli, la città che le ha dato i natali e che la scrittrice quotidianamente vive, continente di terrore e di amore, torna a farsi ombelico del mondo nel turbamento tenace di uno .scippo che viene perpetrato ai danni della sua storia e della sua tradizione più civile e gloriosa di vita e di speranza per un universo davvero capace di ricomporre il proprio spazio di vivibilità e di umanità, Solo così il sole, sorgendo, dopo il riposo notturno, potrà continuare a raccontare le favole della Luna, nel ricordo di un’infanzia da ritrovare, ogni giorno e di guerre da scongiurare per sempre. E solo avvolgendosi, come baco, nel proprio essere più segreto, è possibile sprigionare parole di seta”, E’ quanto Miriam ha sempre auspicato con una bellezza ed un’eleganza, cariche di una lucidità rivoluzionaria e di una passione travolgente, insomma di quella solarità positiva, limpida, cosmica mai offuscata dall’enfasi del colore.

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