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In Campania c’è più lavoro, ma i giovani vanno via

Giannola (Svimez): «Mancano politica industriale e investimenti che attirino imprese»

In Campania c’è più lavoro, ma i giovani vanno via

Adriano Gianola, presidente Svimez

NAPOLI. La svolta clamorosa non c’è. Si potrebbe obiettare: anche in Campania l’occupazione naviga con il vento in poppa, l’export non si arresta, la disoccupazione cala. Sono sati creati in Italia quasi un milione di posti di lavoro in due anni, il peso dei precari è diminuito. E per la prima volta il peso delle donne nel mondo produttivo aumenta.

Sono dati positivi diffusi dall’Istat in questi giorni, nonostante a novembre 2024 sia lievemente calato il numero degli occupati rispetto allo stesso mese del 2023. Il problema riguarda proprio l‘occupazione che cresce al ritmo del 2% annuo, ma il Pil in termini reali cresce al ritmo inferiore all’1%. E la forbice si allarga se al posto dell’occupazione ci si confronta con il numero delle ore lavorate che crescono a un ritmo più elevato.

Che significa: diminuisce la produttività media del lavoro perché i nuovi posti vengono creati soprattutto in settori a basso valore aggiunto per addetto. Così com’è lenta la dinamica della produttività cui contribuisce anche lo scarso sostegno dello Stato agli investimenti privati. Che meriterebbe un’attenzione del tutto particolare.

Pesano l’incognita del prezzo del gas e le incertezze che già bloccano commesse e investimenti negli Usa con il pericolo di cadere in una spirale di misure e contro-misure protezionistiche mettendo a rischio in una guerra commerciale l’export di prodotti dalla Campania. Adriano Giannola, presidente Svimez, dice che da due anni il Sud cresce più del Nord, ma la qualità del lavoro è bassa. Cosa fare per invertire questo trend?

«Ciò che manca - dice il presidente Svimez - è ancora una sorta di politica industriale accompagnata da una crescita degli investimenti in grado di attirare nuove attività produttive e sviluppare ulteriormente l’export». E afferma che la Decontribuzione Sud ha contribuito in quest’area del Paese negli ultimi anni a dare slancio all’occupazione, sostenendo fino a 1,5 milioni di lavoratori ed aziende.

La sua abrogazione comporterà un risparmio per la finanza pubblica (circa 4 miliardi nel biennio 2026-2027). Anche il Fondo interventi per il Mezzogiorno è stato sotto la lente della Svimez: sarà ridotto progressivamente, passando da 2,5 miliardi di euro nel 2025 a 1 miliardo nel 2026, fino a risalire a 3,4 miliardi nel 2027. E questo solleva interrogativi sulla continuità e sull’efficacia degli interventi strutturali.

Qualche punto di Pil in più, secondo Svimez, non sono sufficienti a colmare il divario SudCentro Nord in termini di redditi, occupazione e salari: al Sud servono investimenti in infrastrutture e servizi pubblici per scaldare il motore. «Non si può vivere di solo turismo e agricoltura che soffre le distanze e la carenza dei trasporti. Al Sud ci sono tre milioni di lavoratori sottoutilizzati o inutilizzati. Una situazione che continua a spingere i giovani alla fuga: negli ultimi venti anni quasi un milione di giovani ha lasciato il Sud, e in dieci anni 200mila laureati sono emigrati nel Centro-Nord, facendo diventare giorno dopo giorno le regioni meridionali sempre più un deserto».

Secondo stime Svimez nel 2050 l’Italia perderà 4,5 milioni di abitanti, l’82% proprio nelle regioni meridionali, pari a circa 3,6 milioni. Non solo spopolamento, ma una situazione alla quale il Governo dovrebbe guardare con rinnovato interesse e determinazione.

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