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Guidava il clan dal carcere, nuovo arresto per Pecorelli

l’effettivo proprietario di un apIl boss dei Lo Russo in manette insieme alla moglie. Ai domiciliari il figlio

Guidava il clan dal carcere, nuovo arresto per Pecorelli

Nonostante la lunghissima detenzione, aveva continuato a dare ordine dal carcere di Opera. Oscar Pecorelli, 45 anni, ritenuto uno dei capi del clan Lo Russo, ristretto dal 2010 in quanto condannato all’ergastolo per gravi fatti di sangue, non aveva alcuna intenzione di gettare la spugna. A lui, alla moglie, Mariangela Carrozza, 43 anni, e al figlio della coppia, Rosario Pecorelli, da qualche giorno 19enne, sono stati notificati, rispettivamente, due arresti in carcere e uno ai domiciliari per i reati, contestati a vario titolo dalla Procura di Napoli (pm Maria Sepe, procuratore aggiunto Sergio Amato) di associazione armata di tipo mafioso, riciclaggio, autoriciclaggio, trasferimento fraudolento di valori, estorsione e usura aggravate dal metodo mafioso, frode e accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di detenuti. L’ordinanza è stata notificata dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Napoli e dal Nucleo Investigativo Centrale di Roma della Polizia Penitenziaria, in collaborazione con il Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata. Indagati a piede libero risultano invece Francesco Battimiello, 42 anni, Vincenzo Bocchetti, 50 anni, e Oscar Pecorelli “il buono”, nato il 19 agosto 1981. Pecorelli per tenersi in contatto con il clan utilizzava in carcere dei cellulari clandestini, messaggi whatsapp e mail. Inoltre, avvalendosi della moglie e del figlio, avrebbe continuato a dirigere attività di riciclaggio e di usura, impartendo direttive ai propri familiari e sodali per riscuotere i proventi del racket. La disponibilità di denaro ha spinto i Pecorelli a dedicarsi all’usura. E quando c’erano “problemi” le vittime venivano minacciate. I proventi venivano destintari al l’acquisto di orologi di lusso (il cui valore è risultato enormemente sproporzionato rispetto ai redditi dichiarati) finanche all’estero, in particolare a Dubai, con pagamenti in criptovaluta. La famiglia del boss, per sfuggire ai controlli, aveva intestato a prestanome immobili e imprese di calzature, cuoio, pellame, di lavanderia e di trasporto su gomma. Le società, inoltre, frodavano il fisco utilizzando usando fatture false, secondo le indagini emesse per circa 10 milioni di euro. Lo scorso giugno ai Pecorelli sono stati sequestrati 8 immobili, 12 lotti di terreno, 5 complessi aziendali, 2 autovetture, 1 ciclomotore, 20 orologi di lusso, 90 rapporti finanziari e circa 400 mila euro in contanti per un valore complessivo di oltre 8 milioni di euro. Dall’inchiesta è emerso poi che Pecorelli, nonostante le condanne definitive per mafia, fosse l’effettivo proprietario di un appartamento a due passi dall’aeroporto di Capodichino. Un immobile adibito a casa vacanze e gestito tramite alcuni prestanome. Con quel b&b il clan per almeno due anni sarebbe però riuscito a riciclare un importante mole di denaro. Stessa sorte per un appartamento in salita Capodimonte, ma affittato come civile abitazione. Entrambi gli appartamenti sono poi caduti in sequestro.

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