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Camorra
27 Gennaio 2025 - 08:46
NAPOLI. Miano come Pianura, quartieri in cui la guerra tra clan continua anche con l’arresto dei boss e del loro cerchio magico. Così, nel quartiere occidentale di Napoli alla contrapposizione tra i Pesce e i Mele si è sostituita quella tra i Marsicano e i Carillo. Mentre ai confini con Secondigliano gli eredi dei Balzano (“abbasc Miano”) sarebbero gli Scognamiglio, in contrapposizione con i Pecorelli Catone subentrati ai Cifrone (“ncopp Miano”).
C’è però una differenza, emersa nel corso dell’indagine condotta dalla Guardia di Finanza e coordinata dalla Dda: gli attuali responsabili dei gruppi malavitosi hanno incrementato le attività economiche, a cominciare dal riciclaggio del danaro proveniente della droga. Dall’inchiesta è emersa in particolare la figura di “’o malommo”, che secondo l’accusa (ferma restando la presunzione d’innocenza) aveva continuato a dare ordine dal carcere di Opera.
Il 45enne, ritenuto uno dei capi dello storico ma ormai disciolto clan Lo Russo, ristretto dal 2010 in quanto condannato all’ergastolo per gravi fatti di sangue, non aveva alcuna intenzione di gettare la spugna. A lui, alla moglie, Mariangela Carrozza, 43 anni, e al figlio della coppia, Rosario Pecorelli sono stati notificati, rispettivamente, due arresti in carcere e uno ai domiciliari per i reati, contestati a seconda delle varie posizioni dalla Procura di Napoli (pm Maria Sepe, procuratore aggiunto Sergio Amato), il più grave dei quali è l’associazione di tipo mafioso.
L’ordinanza è stata notificata dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Napoli e dal Nucleo Investigativo Centrale di Roma della Polizia Penitenziaria, in collaborazione con il Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata. Indagati a piede libero risultano invece Francesco Battimiello, 42 anni, Vincenzo Bocchetti, 50 anni, e Oscar Pecorelli “il buono”, nato il 19 agosto 1981.
Tutti comunque, sia agli arresti che non, da considerare innocenti fino a eventuale condanna definitiva. Oscar Pecorelli per tenersi in contatto con il clan utilizzava in carcere dei cellulari clandestini, messaggi whatsapp e mail. Inoltre, avvalendosi della moglie e del figlio, avrebbe continuato a dirigere attività di riciclaggio e di usura, impartendo direttive ai propri familiari e sodali per riscuotere i proventi del racket.
La disponibilità di denaro ha spinto i Pecorelli a dedicarsi all’usura. E quando c’erano “problemi” le vittime venivano minacciate. I proventi venivano destinati all’acquisto di orologi di lusso (il cui valore è risultato enormemente sproporzionato rispetto ai redditi dichiarati) finanche all’estero, in particolare a Dubai, con pagamenti in criptovaluta. La famiglia del boss, per sfuggire ai controlli, aveva intestato a prestanome immobili e imprese di calzature, cuoio, pellame, di lavanderia e di trasporto su gomma. Le società, inoltre, frodavano il fisco utilizzando usando fatture false, secondo le indagini emesse per circa 10 milioni di euro.
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