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Camorra

Pizzo al bar del Porto di Napoli, colpo da ko al clan Mazzarella

La cosca pretendeva una tangente da 20mila euro e un “fisso” mensile

Pizzo al bar del Porto di Napoli, colpo da ko al clan Mazzarella

Le indagini sono state condotte dai carabinieri; nel riquadro il ras Salvatore Barile, alias “Totoriello”

NAPOLI. Gustavo Alex Noviello voleva compiere un attentato, piazzando un ordigno all’ingresso della viletta in cui abita la vittima. «Tutto in aria, ma dobbiamo stare attenti alle telecamere e quindi dobbiamo coprirci la faccia», diceva a Gennaro Mazzarella detto “bomba a mano”, indagato con lui nell’inchiesta su un’estorsione all’interno del porto di Napoli.

A far loro compagnia in qualità di indagato c’è Salvatore Barile detto “Totoriello”, ras del clan più potente della città al pari dell’Alleanza di Secondigliano. Da ieri si trovano dietro le sbarre (Barile già lo era e ha ricevuto in carcere l’ordinanza di custodia cautelare) Gennaro Mazzarella, 52 anni (figlio di Vincenzo Mazzarella, detto “’o vichingo” a sua volta cugino del capo storico Ciro Mazzarella “’o scellone”, morto sei anni fa), Gustavo Alek Noviello, 33 anni, incensurato di Ercolano ritenuto vicino al gruppo malavitoso e in particolare al ras soprannominato “Bomba a mano” che chiama zio pur non essendo parenti, e appunto Salvatore Barile, 40enne del quartiere Poggioreale, familiare dei Mazzarella nonché ras di primo piano dell’organizzzazione con compiti di reggenre sul territorio fin quando è stato libero.

I tre (da ritenere innocenti fino all’eventuale condanna definitiva) devono rispondere di estorsione, in concorso aggravato dal metodo camorristico e dalla finalità di agevolazione del clan. I Mazzarella controllerebbero il racket nel porto di Napoli e da ciò sarebbe derivata la pretesa del “pizzo” al titolare di un bar all’interno dello scalo marittimo.

Ma dopo qualche esitazione e una prima denuncia ai carabinieri presentata dalla ex compagna, la vittima avrebbe confermato di essere sotto scacco. Nel frattempo erano partite le attività di intercettazione telefoniche e ambientali, incentrate sulla figura di Noviello al quale era stato inoculato sul cellulare un virus informatico. Grazie al cavallo di Troia dell’era post moderna i carabinieri della compagnia di Torre del Greco, coordinati dalla procura antimafia, hanno concluso brillantemente l’indagine.

Le indagini sono partite dal commerciante, residente anch’egli a Ercolano, un cui fratello anni fa aveva subito un pestaggio per aver interrotto il pagamento del “pizzo” ed era stato costretto a uscire e strattonato davanti al negozio da barbiere in cui si trovava. Ma scarcerato il “re”, come Gustavo Alek Noviello definiva Gennaro Mazzarella, il clan voleva recuperare i soldi: 20mila euro al mese per l’arretrato e 500 euro al mese.

«Abbiamo 300 affiliati», si sarebbe vantato l’incensurato con il titolare del locale aggiungendo che a Ercolano aveva avuto «carta bianca» per agire. Le dichiarazioni raccolte dalle parti offese, avvalorate dalle indagini tecniche, hanno consentito di acquisire gravi indizi di colpevolezza nei confronti degli indagati, che nei primi mesi del 2022 avrebbero richiesto con veemenza e ripetuti atti di violenza fisica, l’imposizione della tangente da pagare per continuare ad esercitare la propria attività nel porto di Napoli.

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