«Non sono capace di dire e scrivere qualcosa di diverso da quello che hanno fatto in questi giorni di dolore profondo amici e colleghi bravissimi. Quello che ho letto e sentito è tutto vero». Sono le parole di Valentina Trifiletti, giornalista di Mediaset e moglie di Fabio Postiglione, il collega del Corriere della Sera morto martedì sera in un incidente stradale a Milano, per quasi vent'anni cronista di nera e giudiziaria del Roma.
«Talento smisurato, un po’ retrò. Avevi la caratura e la tecnica dei più anziani, i più esperti, nonostante fossi così giovane. Simpatico, travolgente, un aggregatore. Con te potevamo sedere a tavola con persone così diverse per carattere e portafogli. Qualsiasi cosa tu raccontassi, specie su Napoli, sul Napoli, le trasferte con gli ultras, sul tuo lavoro di cronista di nera, sulla camorra, la geografia delle cosche, le faide, le corse al giornale che era la tua casa, i colleghi la tua famiglia».
«Che talento, amore mio. A ogni collega parlavo di te e lo misuravo con te. E, non me ne vorranno, ma non ce n’era uno in grado di superarti e nemmeno di eguagliarti. E tu non sei mai stato geloso di chi aveva più di te, non ti sentivi minacciato dall’esaltare il talento degli altri. La tua evoluzione era uno spettacolo».
«Vorrei poter dire tutto con poche parole ma è impossibile. Io oggi sto nel palmo di una mano. Mi sbriciolo, sono niente. Ci siamo riconosciuti e ci siamo scelti per la vita. Pensavamo le stesse cose e se mi capitava di pensarla diversamente, alla fine, la pensavo sempre come te. Non ho paura di dire che non ci saremmo lasciati mai. Ne eravamo certi entrambi e ce lo dicevamo».
«Vorrei che da queste parole trasparisse ogni sfumatura del tuo carattere ma anche questo è impossibile. O almeno, io non ne sono capace. Non ti risparmiavi mai, davi tutto te stesso nel lavoro, in famiglia, con gli amici. Ti tendevano una mano e tu allargavi le braccia».
«Penso alla tua mamma, alla tua famiglia piegata dal dolore, a Paoletto e Mery, ai tuoi amici. Penso ai colleghi del Roma, la tua casa per quasi 20 anni, a quelli del Corriere che non avevano mai incontrato nessuno come te. Alla mia famiglia e agli amici di Novara di Sicilia e Sammasì. A Ciro e Gennarina che ti aspettano alla porta. Vorrei consolare tutti perché so cosa hanno perso. Io ho perso il mio amore, il mio maestro, il mio migliore amico. Ho perso tutto».
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