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Il processo
12 Febbraio 2025 - 15:42
Nel riquadro la vittima Salvatore Coppola
NAPOLI. «Io sono il primo mandante, lo so che devo morire in carcere. Però chiedo scusa alla famiglia». A parlare è Gennaro Petrucci, che ha confessato in aula di essere il mandante dell'omicidio dell'ingegnere Salvatore Coppola, assassinato a Napoli, il 12 marzo 2024, nel parcheggio di un supermercato di via Protopisani con un solo colpo alla nuca.
Secondo l'accusa, a sparare fu Mario De Simone, imputato insieme a Petrucci e indicato proprio da quest'ultimo. «La sera dell'omicidio, De Simone mi disse che aveva fatto “il servizio", gli diedi 500 euro e 4 bottiglie di vino. In totale gli ho dato 7mila euro per l'omicidio».
Ma Petrucci in aula ha puntato il dito anche contro un altro imprenditore che sarebbe il finanziatore del raid. «Mi diede 10mila euro. Io non volevo ucciderlo, ma non mi potevo più tirare indietro» ha aggiunto Petrucci, rispondendo alle domande del pm Sergio Raimondi.
In totale, De Simone avrebbe dovuto incassare 20mila euro. Stando alle indagini, condotte dalla squadra mobile di Napoli e dal commissariato di polizia San Giovanni-Barra, l'omicidio sarebbe maturato per delle controversie legate alla villa di via De Lauzieres a Portici, dove Petrucci viveva con la moglie Silvana Fucito, imprenditrice simbolo dell'antiracket.
Proprio una denuncia della donna a Coppola - secondo Petrucci, ascoltato in aula nella doppia veste di testimone e imputato - avrebbe creato divergenze tra l'ingegnere e i coniugi Petrucci-Fucito, tanto da spingerlo a "vendicarsi" partecipando all'asta giudiziaria della lussuosa villa tramite prestanome. Petrucci ha fatto nomi e cognomi di diverse persone, tra cui quello del presunto finanziatore dell'omicidio, che si sarebbe aggiudicato all'asta quella casa, poi confiscata e dunque rimasta nel limbo di controversie civili e ancora in suo possesso.
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