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14 Febbraio 2025 - 09:43
Cesare Pagano il giorno dell'arresto
NAPOLI. Trucidato nel 2005 per uno sgarro al rampollo del clan, la corte di assise di appello dichiara prescritto il reato di porto e detenzione di armi e in colpo solo vengono spazzati via ben sei ergastolo. A vario titolo accusati di aver concorso nell’omicidio di Luigi Barretta, boss e killer del clan degli Scissionisti ieri mattina si sono visti cancellare la stangata rimediata in primo grado. Cesare Pagano, Carmine Amato, Cesare Pagano, Ciro Caiazza, Enzo Notturno e Lucio Carriola sono stati infatti condannati a 30 anni di carcere a testa. Determinanti ai fini del verdetto emesso dalla quarta sezione della corte di assise di appello si sono rivelate le argomentazioni degli avvocati difensori Domenico Dello Iacono, Luigi Senese, Luigi Ferro, Andrea Di Lorenzo e Isidoro Spiezia, i quali sono riusciti a dimostrare che l’accusa di armi doveva essere ritenuta prescritta in quanto si reggeva sulle dichiarazioni di due collaboratori di giustizia, Biagio Esposito e Caiazza, riportate in dei verbali inseriti nel cosiddetto “registro generico”.
Le accuse dei pentiti, che non erano intervenute nel procedimento specifico, non potevano quindi essere ritenute come atto interruttivo della prescrizione. Se in primo grado era arrivata una sfilza di ergastoli, il copione non si è ripetuto in appello, con tutti gli imputati condannati a “soli” trent’anni di reclusione. Tutti, già in primo grado, avevano tra l’altro ammesso gli addebiti. Per l’omicidio del “ribelle” Luigi Barretta, la Procura antimafia aveva disposto la conclusione delle indagini preliminari nel maggio 2021. Nove ras e affiliati del clan degli Scissionisti erano ritenuti a vario titolo coinvolti nell’efferato delitto consumatosi tra Gricignano d’Aversa e Crispano il 9 maggio del 2005: Carmine Amato, Ciro Caiazza, Lucio Carriola, Enzo Notturno, Carmine Pagano, Cesare Pagano, Salvatore Roselli, Antonio Caiazza e Carmine Cerrato, questi ultimi tre collaboratori di giustizia.
L’atroce delitto consumatosi al tramonto della prima faida di Scampia sembrava essere arrivato a una prima svolta investigativa con l’iscrizione nel registro degli indagati, avvenuta nel 2019, dunque ben quattordici anni dopo i fatti, di alcuni dei massimi esponenti del cartello degli “Spagnoli”: a partire da quella del boss Cesare Pagano e dei rampolli Carmine Amato, con cui la vitta avrebbe avuto uno scontro, e Carmine Pagano. La Procura antimafia, dopo essersi appellata al tribunale del Riesame, in un primo momento si era vista negare per la seconda volta l’emissione di un’ordinanza di custodia cautelare per sette sospettati. La Dda di Napoli aveva infatti chiesto, invano, l’arresto di Carmine Amato, Ciro Caiazza, Lucio Carriola, Vincenzo Notturno, Carmine Pagano, Cesare Pagano e Salvatore Roselli: tutti a vario titolo accusati di aver preso parte all’omicidio del maggio 2005 con ruoli deliberativi o esecutivi. Già il giudice per le indagini preliminari aveva però ritenuto di non dover procedere con l’emissione di un provvedimento cautelare.
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