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06 Marzo 2025 - 08:05
NAPOLI. Altarino per il babyboss ucciso nella faida di Forcella, colpo di scena dinanzi al tribunale Collegiale di Napoli, settima sezione penale presieduta dal giudice Michele Ciambellini. Assoluzione piena per i coniugi Sibillo, genitori di Emanuele Sibillo, trucidato a soli 19 anni nella sanguinosa faida di camorra nata nel centro storico di Napoli. Assolti per non aver commesso il fatto Vincenzo Sibillo, in collegamento video dal carcere di massima sicurezza di Sulmona, dove sta scontando pene definitive a seguito delle condanne comminate per la sua appartenenza al clan che porta il suo cognome, e sua moglie Anna Ingenito.
Accuse pesanti quelle sollevate dalla Dda di Napoli, rappresentata dai pubblici ministeri Urbano Mozzillo e Celestina Carrano, che avevano chiesto per entrambi gli imputati una condanna a 4 anni e 10 mesi di carcere. I delitti contestati erano quelli della estorsione e della violenza privata, aggravati dal metodo mafioso per aver agito «approfittando delle condizioni di omertà, paura ed assoggettamento ingenerati nelle persone offese dalla loro nota appartenenza al clan Sibillo, articolazione satellitare del sodalizio criminale di tipo camorristico facente capo ad Eduardo Contini».
Simulacro di camorra, avevano affermato in aula i procuratori della Dda, che il 28 aprile 2021, in piena emergenza covid, con una operazione che aveva visto il coinvolgimento di numerosissimi agenti di polizia e carabinieri, vigili del fuoco e operai vari, avevano, tra le proteste degli abitanti del quartiere di via Santi Filippo e Giacomo, proceduto allo smantellamento dell’altarino dedicato a Es 17. Emanuele Sibillo, descritto in una nota sentenza emessa dal tribunale di Napoli come «l’eroe eterno dei vicoli e delle stradine del centro cittadino, venerato quasi come San Gennaro, sull’altare che la famiglia ha eretto a sua memoria, nell’androne del palazzo dove abitava», divenuto nel giro di pochissimo tempo estremamente popolare, anche grazie ai numerosi film e documentari.
Altarino al cui cospetto, secondo l’ipotesi accusatoria, venivano condotte le persone vittime di estorsione. Altarino, dove sempre secondo l’assunto accusatorio, si fermavano incantati i bambini della vicina scuola media ad ammirare il busto eretto in onore del babyboss, busto oggi esposto in bella mostra al Museo del Crimine di Roma. La serrata arringa del difensore di fiducia dei Sibillo, l’avvocato Rolando Iorio, ha però destabilizzato l’impianto accusatorio tanto da condurre a una assoluzione piena per i suoi assistiti. Imperterrito dal carcere di massima sicurezza di Sulmona Vincenzo Sibillo ha ascoltato in silenzio il verdetto assolutorio. La moglie, Ingenito Anna, attendeva a casa. E ora, chiede lady Sibillo tramite il suo legale, «ridatemi il busto di mio figlio», aggiungendo: «Ricostruirò l’edicola votiva in memoria di Emanuele». Determinanti ai fini del verdetto le testimonianza dei condòmini, i quali hanno sostenuto di non aver mai subito minacce dai Sibillo per il manufatto.
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