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Il processo

Agguato al cugino, condanne soft

La vittima (risarcita del danno) aveva subito l’amputazione del piede: 4 anni e 6 mesi a testa ai due imputati

Agguato al cugino, condanne soft

Nei riquadri gli imputati Luigi Nasti e Raffaele Petrone

NAPOLI. Agguato per un sospetto - un furto in casa della persona “sbagliata” - i due aggressori di Luca Mangiapia patteggiano in appello e per loro, Luigi Nasti e Raffaele Petrone, arriva un sostanzioso sconto di pena. Per entrambi la condanna è stata ridotta, dopo il precedente risarcimento in favore della vittima, a 4 anni e 6 mesi di reclusione a testa. In primo grado, invece, aveva incassato 7 anni e 4 mesi ciascuno.

A spuntarla sono state dunque le argomentazioni degli avvocati Leopoldo Perone e Giuseppe Biondi, difensori di Petrone, e Riccardo Ferone, che assisteva invece il coimputato Nasti. Luca Mangiapia era stata gambizzato nella notte del 2 novembre 2023: in seguito l’accusa per gli imputati fu però derubricata da tentato omicidio a lesioni gravissime. A rendere particolarmente inquietante l’accaduto c’erano almeno due elementi: il pistolero e la vittima non soltanto si conoscevano, ma sono addirittura parenti: precisamente cugini.

E ancora: a innescare il raid sarebbe stato un sospetto. Raffaele Petrone era infatti giunto alla conclusione che Luca Mangiapia fosse responsabile del furto in casa subito qualche giorno prima dal fratello Giuseppe. O quantomeno questa era la conclusione alla quale era arrivato dopo aver visionato le immagini registrate dalle telecamere installate all’interno dell’abitazione. Il gip Giordano aveva poi derubricato l’iniziale accusa di tentato omicidio in quella, più lieve, di lesioni.

Il giudice aveva inoltre deciso di non convalidare la misura precautelare, disponendo per il Patrone gli arresti domiciliari nella propria abitazione. Per l’agguato a Luca Mangiapia, oltre a Petrone, era indagato anche Luigi Nasti, vecchia conoscenza delle forze dell’ordine, in passato accostato agli ambienti del clan Cimmino e in particolare al capozona Andrea Teano, tanto da aver scontato anche una condanna per associazione mafiosa.

Nasti, a differenza di Petrone, inizialmente aveva però fatto perdere le proprie tracce: sulla sua testa pendeva l’accusa di aver fatto da autista all’uomo che la notte del 2 novembre ’23 ha fatto fuoco contro Mangiapia. Al netto della confessione resa da Petrone, all’epoca impiegato come barista in un noto locale del Vomero, gli investigatori erano già da alcuni giorni sulle sue tracce. Lui e Nasti erano accusati di aver condotto Mangiapia a bordo di un’auto in una zona isolata di Pianura, già muniti di pistola e lenzuolo.

Dopo averlo ripetutamente minacciato, i due avrebbero quindi esploso tre colpi, uno dei quali andato a segno centrando la vittima alla coscia sinistra. Le condizioni di Mangiapia sono subito apparse gravissime, tanto che il giovane pianurese, ricoverato in condizioni critiche al Cardarelli, ha dovuto subire l’amputazione del piede a causa della perdita di sangue. Il raid sarebbe maturato come vendetta, in quando Raffaele Petrone sospettava che il cugino si fosse reso protagonista di un furto avvenuto in casa del fratello Giuseppe. Poi il pentimento, ormai tardivo e la consegna.

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