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Detenuto suicida nel carcere di Secondigliano

È il terzo caso in Campania e il 27esimo in Italia dall'inizio dell'anno

Detenuto suicida nel carcere di Secondigliano

NAPOLI. «Nella serata di ieri un. 53enne della provincia di Caserta si è tolto la vita nel carcere di Secondigliano. Dall'inizio dell'anno in Italia sono già 27 i suicidi tra le persone private della libertà personale, 457 i tentativi di suicidio. In Campania è il terzo suicidio, dopo i due che ci sono stati nel carcere di Poggioreale». A dare la notizia è il garante campano delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale Samuele Ciambriello.

«Ogni 3 giorni muore una persona in carcere. Non c'è una sola motivazione che porta al suicidio ma ci sono più concause, credo che il gesto di Pietro non sia dato da un'unica causa. Non parliamo di una logica lineare causa-effetto ma di un sistema complesso. I suicidi in carcere sono un tema scabroso e cruciale. Il tema carcere non può essere ristretto a pochi o connotato ideologicamente, ma riportato sull'utilità della pena», aggiunge.

«Ci deve essere un'effettiva presa in carico delle persone con professionisti dell'ascolto (assistenti sociali, psicologi, psichiatri), non con soluzioni temporanee e provvisorie. Occorre - avverte infine Ciambriello - restringere la platea dei detenuti presenti in carcere per meglio accudirli. Bisogna essere rispettosi di un dolore che prende i familiari e la stessa comunità penitenziaria. Bisogna riconoscere la dignità in quanto persona al di là del reato commesso».

27ESIMO SUICIDIO DALL'INIZIO DELL'ANNO

«Il detenuto italiano, di 50 anni, che nel carcere di Secondigliano-Napoli si è tolto la vita con un sacchetto di plastica attorno alla testa, è il 27esimo suicidio dall'inizio dell'anno. Ma il numero sarebbe sicuramente più alto tenuto conto che si registrano 18 decessi di detenuti - su 81 morti complessivi - con cause in corso di accertamento».

Lo afferma Aldo Di Giacomo, segretario generale del Spp che aggiunge: «Nelle cause in corso di accertamento di solito rientrano casi di inalazione di gas, di uso di stupefacenti o mix di farmaci e decessi avvenuti successivamente in ospedale. Forse questo sistema di classificazione delle morti in carcere può servire ad abbassare il numero dei suicidi per evitare ulteriori allarmi tra i familiari dei detenuti e nell'opinione pubblica più sensibile ma non serve di sicuro a ridimensionare una situazione che si fa sempre più grave». "

«Ed è certamente indegno che gli accertamenti per le cause di morte negli istituti penitenziari durino all'infinito e in troppi casi senza esito - continua Di Giacomo - Inoltre, anche l'alto numero delle “altre" morti - 81 sinora e 246 nel 2024 - denota la carenza assoluta di assistenza sanitaria ai detenuti perché rispetto alla popolazione carceraria le morti sono del 500 per cento in più all'incidenza fuori del carcere. Tra l'altro il “piano anti-suicidi" che lo scorso anno è stato finanziato con 10 milioni di euro si è risolto con in media una visita al mese di psicologi o psichiatri per detenuto con problemi mentali o comunque “a rischio"».

«All'inciviltà di un Paese che non è in grado di garantire l'incolumità alle persone che ha in custodia si aggiunge quest'ulteriore esempio di inciviltà. Tutto questo accade mentre si dà ampio clamore alla “non soluzione" quella delle celle-container che dovrebbero servire a ridurre il sovraffollamento e invece potranno ospitare appena 382 nuovi detenuti, il numero equivalente agli ingressi mensili di detenuti. Come si sottovaluta che con i nuovi ingressi c'è bisogno di altre 700 unità di polizia penitenziaria. Ma - aggiunge Di Giacomo - il Dap, senza responsabile da mesi, continua ad affrontare l'emergenza suicidi come quelle del sovraffollamento e della carenza di organici nell'ordinarietà assoluta».

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